Il borgo di Calcata
Uno dei più incantevoli paesaggi laziali
Cuore dell’Agro Falisco, lo scenario offerto dalla Valle del Treja, in particolare nel punto in cui sorge il borgo di Calcata, è considerato uno dei più incantevoli paesaggi laziali: la folta e impenetrabile vegetazione, con i suoi colori sempre cangianti al mutare delle stagioni, ammanta i caldi toni rossi e marroni delle rocce tufacee, che formano alte pareti, pinnacoli, gole e tagliate. Qui, su uno sperone proteso nel vuoto, si erge il piccolo borgo medievale, che, come una penisola in un mare di smeraldo, rapisce lo spettatore e lo proietta in un’epoca indefinita, ove alle suggestioni ispirate dalla natura si aggiungono quelle di un medioevo magico e arcano.
Le origini di “Calcata”, il cui stesso toponimo rimane un enigma etimologico, si perdono nella notte dei tempi. Sicuramente abitata nell’era preistorica, la zona divenne in epoca pre-romana importante avamposto della civiltà falisca, una popolazione culturalmente affine ma non assimilabile a quella etrusca, e forse ancora più antica, che si diffuse in tutta la Tuscia Tiberina a partire dall’VIII secolo a. C.. A testimonianza di questo oscuro periodo rimangono innumerevoli resti sparsi nei dintorni di Calcata, tra cui spiccano le poche rovine della città di Narce, posta sullo sperone tufaceo opposto a Calcata e ai cui piedi sorge un tempio falisco, e la Necropoli di Pizzo Piede, situata su un vasto altopiano da cui si aprono splendidi panorami verso il Monte Soratte e la Valle del Tevere; lungo il sentiero per Pizzo Piede è peraltro visibile un enorme monolite, simile ad un “menhir”, sul quale si notano degli scalini intagliati, ciò che fa pensare che esso venisse utilizzato a mo’ di torre di vedetta. Bisogna ricordare, però, che per tutto il periodo falisco (e romano) la rupe di Calcatarestò deserta, ed in realtà non abbiamo informazioni certe sulla sua nascita come centro abitato: il nome di Calcata, compare per la prima volta molto più tardi, in un documento del 772-795, sotto il pontificato di Adriano I. Sono comunque visibili i ruderi di diversi insediamenti probabilmente alto medievali, come quello di Santa Maria, la cui torre mozza svetta su un’eminenza delle pareti rocciose che chiudono il Treja. Più tardi, nel Duecento, Calcata entrò nell’orbita della nobile famiglia degli Anguillara, che vi eressero un castello e la cinta muraria, ma, data la posizione impervia e nascosta, rimase sempre ai margini delle vicende storiche.
Dopo una lunghissima solitudine, dagli anni ’30 del Novecento il paese iniziò a spopolarsi a causa dei frequenticrolli della fragile rupe tufacea, fino agli anni immediatamente posteriori alla guerra,quando il borgo si salvò dall’abbattimento sancito dalle istituzioni soltanto per un fortuito cavillo burocratico, mentre i calcatesi si trasferirono a circa 2 km di distanza, costruendo un piccolo centro moderno (Calcata Nuova). Ormai completamente abbandonata ed esposta ai cedimenti del terreno, Calcata fu allora chiamata il “paese che muore”, appellativo, questo, che allo stesso tempoera conferito alla più celebre Civita di Bagnoregio. E tuttavia, proprio grazie al suo fascino decadente e surreale, il borgo fantasma cominciò man mano ed essere ripopolato da artisti, artigiani ed intellettuali, che a partire dagli anni ’60 vennero da ogni parte del mondo, in cerca di una dimensione di vita genuina e in contrasto con l’incalzante società industriale e consumistica. Ancora oggi visitare Calcata equivale ad un esperienza “fuori dal mondo”. Al borgo medievale, uno dei più suggestivi del Lazio, si accede da un’unica porta che si apre tra le fortificazioni e che conduce ad una pittoresca piazzetta ornata da tre curiosi “troni” di tufo, ove si affacciano il Castello degli Anguillara, con la sua caratteristica torre ghibellina, e la seicentesca Chiesa del SS. Nome di Gesù, che peraltro costituiscono gli unici due monumenti veri e propri del paese. Da qui si snoda un dedalo di strette viuzze, che, talvolta attraversando buie arcate, conducono tutte alciglio del profondo precipizio che cinge quasi per intero l’abitato: una peculiarità, questa, che rende Calcata uno dei migliori esempi in Italia di paese fortificato “naturalmente”, in quanto difeso dalla morfologia stessa dell’ambiente naturale, anziché dalla presenza di veri e propri baluardi militari. Ricoperte da licheni rossi, gialli e verdi, e costruite in muratura o scavate nel tufo, le case dal canto loro si presentano come modeste abitazioni ove si possono osservare sia antichi portali che resti di profferli; ad esse si alternano buie cantine e silenziose grotte, adibite dagli estrosi abitanti a deliziose botteghe o anche a laboratori artigianali ed artistici.
Sulle varie sporgenze rocciose, poi, quasi celati tra i meandri della vegetazione, si vedono i resti di insediamenti medievali e falisci a strapiombo sulla valle, in un continuo susseguirsi di scorci assai romantici, vero e proprio “paradiso” per i fotoamatori, per i pittori paesaggisti e per chiunque sappia cogliere la poesia della bellezza. Del resto, come lasciano già immaginare le splendide vedute godibili dalle terrazze del borgo, anche i suoi diretti dintorni sono ricchissimi di motivi d’interesse per la presenza dei numerosi ruderi, senza dire che “avventurarsi” nell’ambiente della “forra” sa regalare emozioni indescrivibili. Nei pressi di Calcata, in località Colle, merita infine una menzione a parte lo straordinario Museo Opera Bosco, creato dagli artisti Anne Demijttenaere e Costantino Morosin, e aperto al pubblico dal 1996. Si tratta di un itinerario che percorre quasi due ettari di bosco, ove tra la vegetazione vi sono circa quaranta opere, eseguite interamente con materiali naturali, cheriproducono i più svariati soggetti: un perfetto connubio tra arte e natura, realizzato per comunicare l’importanza della tutela e della valorizzazione del territorio, che gli ideatori del museo infondono anche attraverso seminari educativi e varie attività multidisciplinari. Un territorio, quello segnato dal Fiume Treja, che per la sua eccezionalità da più di vent’anni è parzialmente protetto dal Parco suburbano della Valle del Treja, istituito a tutela di un ambiente unico in Italia sia per le sue valenze paesaggistiche sia per quelle strettamente naturalistiche. Ma le sorprese non finiscono qui. Leggende e misteri da sempre tracciano la storia del piccolo borgo di Calcata Vecchia.
Una credenza assai diffusa è che il luogo ove ora sorge l’abitato di Calcata vecchia ospitasse un’ara falisca in cui si compivano misteriosi riti magici e propiziatori, forse legati ad arcaici culti astrali. Inoltre, pare che ancor oggi si svolgano in qualche abitazione di Calcata e in alcune delle numerose grotte sottostanti l’abitato riti esoterici ed iniziatici. A ciò si aggiunge una vicenda che ha reso nei secoli Calcata nota al mondo religioso e devozionale, e che è legata ad un’incredibile reliquia che venne custodita sino a pochi decenni fa nella Parrocchiale, vale a dire il prepuzio di Gesù. Recisogli otto giorni dopo la sua nascita, venne conservato con cura dalla Vergine Maria, dopo di che non se ne ebbero notizie certe fino all’Alto Medioevo, quando, secondo una antica credenza, l’imperatore Carlo Magno lo ricevette in dono da un angelo e pare lo depose in qualche posto segreto della Città Eterna. Durante il Sacco di Roma, nel 1527, il Santo Prepuzio, contenuto in un cofanetto, fu però trafugato da un lanzichenecco al soldo dell’Imperatore Carlo V, il quale, in punto di morte, avrebbe poi confessato di averlo nascosto in una grotta a Calcata. Trent’anni dopo venne ritrovato proprio nel luogo indicato, ma nessuno fu in grado di aprirlo: ciriuscì, in seguito, solo una ragazza dall’animo puro, e nell’atto di schiuderlo, si diffuse per tutto il castello e il paese un celestiale odore. L'evento venne celebrato per circa quattro secoli con una solenne processione che cadeva nel giorno del 1° gennaio, ossia della SS. Circoncisione. La sacra reliquia fu poi protagonista di altri miracoli, ben noti alla tradizione popolare, fino a che, circa quaranta anni fa’, scomparve misteriosamente; alcuni ritengono che sia stata nuovamente rubata, ed altri invece pensano che venga tenuta ben nascosta nella parrocchia poiché ritenuta troppo “imbarazzante”.
Insomma, Calcata non è un paese “normale”, e visitandola di persona ce ne possiamo render conto facilmente. Se da un lato le stratificazioni delle varie epoche (falisca e medievale in primis) hanno lasciato qui (come nel resto della Tuscia) segni ancora leggibili e reciprocamente integrati, dall’altro gli interventi di restauro compiuti sulle abitazioni negli ultimi decennihanno prodotto un’estetica assolutamente atipica, che (sebbene spesso camuffando l’aspetto originario) ha dato vita ad un luogo al di fuori di qualsiasi rigore spazio-temporale. Infatti, mentre dall’esterno Calcata conserva un aspetto marcatamente medievale, appena varcata la porta d’accesso al borgo ci si trova immersi in un’atmosfera indefinita, difficilmente riconducibile ad un’epoca o ad uno stile urbanistico-architettonico precisi, e che riporta alla mente quella di un villaggio in stile “fantasy”, popolato da gnomi e creature fantastiche: complice anche l’atteggiamento decisamente aperto, multietnico ed internazionalistico dei moderni abitanti, attratti dal sincretismo culturale e dal gusto per l’esotico (come dimostrano i continui riferimenti all’India visibili nelle decorazioni delle case), i quali hanno provato a plasmare la realtà con le proprie ispirazioni artistiche, letterarie, oniriche. Questi tratti singolari (che forse, allo stesso tempo, lasciano trapelare una certa disattenzione verso il recupero delle preziose e specifiche tradizioni locali…) fanno oggi di Calcata un vero e proprio centro di sperimentazione urbana, sociale e culturale, un unicum nell’ambito dei piccoli centri italiani, oltre che uno scrigno di arte, natura, pace e buon vivere a due passi da una metropoli sempre più caotica ed affollata.
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