Julian Biagini, quando la fotografia diventa arte in compagnia del circolo fotografico tifernate

"Sono affascinato e incuriosito dai giochi di luce creati dalle costruzioni urbane"
Un tuffo di nuovo in Umbria con la rubrica ‘Passione Fotografia’: l’ospite del mese di marzo è Julian Biagini, amante dello scatto che abita nel Comune di Monte Santa Maria Tiberina. Una figura di esperienza, seppure per lui la fotografia rimanga pur sempre una passione: da anni, oramai, fa parte del Circolo Fotografico Tifernate, con il quale è stato protagonista di tanti progetti, mentre altrettanti sono quelli in cantiere per il futuro. È nato nel 1966 a Londra quando i suoi genitori, italiani, lavoravano in Inghilterra, ma di fatto è cresciuto in Italia, proprio nel mezzo di svariati e meravigliosi paesaggi umbro-toscani. Ha sempre avuto un debole per il bello, per la grafica e per l’immagine, soprattutto fotografica, anche se la sua esperienza artistica è nata col disegno e la scultura. Adora la fotografia architettonica e paesaggistica, seppure blocchi il tempo in tutto ciò che catalizza la sua attenzione.
· Come e quando nasce la passione per la fotografia?
“La passione per la fotografia e l'editing diventa sempre più importante a partire dal 2003: non a caso l’anno di nascita di mia figlia. Le immagini che più facilmente entrano nel mio obiettivo hanno caratteristiche ben precise: luce particolare, linee e contorni geometrici e romantici al medesimo tempo. Scopro con il passare del tempo che la fotografia è per me il mezzo migliore per raccontare e condividere emozioni; per fare questo, ho dovuto intraprendere un complesso percorso che mi portasse a comprendere e utilizzare i processi di stampa per arrivare a una fotografia più reale e completa. Tale termine ha un senso solo quando diventa tangibile, cioè quando porta a definitivo compimento ciò che all’inizio era un’idea; solo una visione che riempie il mirino della reflex e che poi, attraverso un processo di sviluppo digitale, possa arrivare fino alla stampa; ecco, finalmente capisco la soddisfazione di scattare, vedere e toccare una fotografia”.
· Quale tipo di fotografia preferisci fare?
“E’ quella architettonica e paesaggistica. Sono affascinato e incuriosito dai giochi di luce creati dalle costruzioni urbane nelle varie ore del giorno. Il paesaggio invece mi dona serenità, bellezza e pace. Ma il mio vivere la fotografia non si esaurisce in questi due generi; anzi, i reportage di genere come quelli che ho realizzato su artisti, operai e città sono storie altrettanto importanti, perché mi permettono di conoscere e scoprire nuovi modi per raccontare con le immagini”.
· Come mai l’ingresso all’interno del Circolo Fotografico Tifernate?
“Penso sia stata la cosa migliore che mi potesse capitare. Sono un autodidatta, formato solo dalla curiosità per lo strumento fotografico, ma la necessità di raccontare mi ha portato a riconoscere i miei limiti nel linguaggio per immagini e questo mi ha condotto inevitabilmente a un senso di depressione fotografica. Così ho compreso che, se avessi voluto espandere le mie conoscenze e competenze, avrei dovuto confrontarmi con chi di fotografia ne masticava davvero. Le persone che ho incontrato all’interno del CFT (Circolo Fotografico Tifernate) mi hanno dato ciò che mi mancava e hanno pian piano trasformato il mio modo di vivere questa passione, aiutandomi a crescere tramite il confronto e la critica, quest’ultima sempre votata al miglioramento e alla comprensione del linguaggio e della tecnica. Un ruolo importante, in questo mio percorso, è rivestito sicuramente da Enrico Milanesi che con la sua pazienza, esperienza e a volte caparbietà mi ha fatto comprendere pregi e difetti, amplificando la mia ricerca nell’ambito della fotografia. E poi... vuoi mettere avere un appassionato gruppo di persone, amici, che quasi tutte le domeniche, con qualsiasi clima, fanno uscite alla scoperta dei nostri territori straordinari?”.
· Di solito pubblichi sempre lo scatto originale, oppure ti piace lavorare anche nel post produzione?
“Siamo nell’era digitale e questo non può che rendere indispensabile avere anche competenze nel campo informatico, perché è di questo che è fatta la fotografia oggi. Quando si scatta una foto, si ottiene un insieme di dati che occorre saper decodificare per trasformare l’immagine che si era pre-visualizzata in una fotografia ‘finita’. Di conseguenza, come avveniva anche in camera oscura, la foto deve essere sviluppata e questo oggi si fa tramite appositi software che permettono di ottenere il risultato prefissato”.
· Cosa pensi della fotografia in bianco e nero?
“È proprio ciò che mi ha fatto amare quest’arte. In primis Hansel Adams, creatore del sistema zonale, ma soprattutto grande paesaggista. Ho cominciato a vedere in bianco e nero e a considerare i colori come complementari alla mia visione, senza che ne siano gli attori principali. Sperimento questo genere fotografico ogni giorno, cercando le sfumature delle sue pieghe e scoprendone i risvolti”.
· Senti un po’ la nostalgia del vecchio e caro rullino, oppure ti piace solo la tecnologia?
“Trovo il digitale infinitamente più soddisfacente, con più possibilità di rendere la mia visione artistica attuabile. È in qualche modo anche più economico (e meno nocivo per la salute…). Non rimpiango i vecchi rullini, ma non ho nulla in contrario al loro utilizzo anche oggi”.
· Scatti solamente fotografie con la reflex, oppure apprezzi anche lo smartphone o il drone?
“Uso soprattutto la reflex e da poco anche la mirrorless: viste le possibilità che offre la tecnologia, perché non sfruttarle? È una macchina più maneggevole e ha caratteristiche fino a poco tempo fa riservate alle super professionali”.
· C’è uno scatto a cui sei particolarmente legato? Per quale motivo?
“Ne ho alcuni che - come per chiunque - sono diventati ricordi, ma quello che amo di più è una foto che non ho mai pubblicato e che custodisco nei miei pensieri. È un ritratto di mia moglie affacciata a un balcone mentre osserva le montagne di fronte. Era un momento speciale per noi, perché sapevamo da poco di aspettare nostra figlia”.
· Insieme al club fotografico, sei stato protagonista di vari progetti: vogliamo ricordare i principali?
“I progetti sono una parte fondamentale del CFT, creano un legame particolare fra noi soci e incentivano a esplorare nuovi linguaggi fotografici; sono sicuramente una sfida che richiede un notevole impegno sia di tempo che di energie. Ogni anno organizziamo corsi, ma negli ultimi anni abbiamo realizzato un importante lavoro sulla E45, tema molto sentito nella nostra vallata. Il progetto, patrocinato dal Comune, è composto da circa 250 foto: si è concluso dopo circa tre anni di lavoro con una mostra al Quadrilatero di Città di Castello e ha ricevuto notevoli apprezzamenti dalle istituzioni dell’Alta Valle Del Tevere. Stiamo lavorando in questi giorni agli ultimi scatti e all’editing del nuovo progetto, iniziato da circa 6 mesi che contiamo di terminare entro l’anno: è riferito alla ex Ferrovia Centrale Umbra”.
· Come mai i giovani, seppure scattino tante foto, non si avvicinano a questo mondo?
“Non ho competenze tali per dare una risposta sociologica, ma posso pensare che l’impegno e lo studio che la fotografia richiede possano scoraggiare. Inoltre, la fotografia è parte di un mondo - quello dell’arte - e non tutti hanno l’anima dell’artista. Comunque, fare foto con il cellulare è pur sempre catturare immagini e può rappresentare l’inizio di una passione”.
· Secondo il tuo parere, la fotografia è da considerarsi una forma d’arte?
“Assolutamente sì. La fotografia che racconta, descrive, emoziona, smuove gli animi e provoca le coscienze: quella è arte”.
· Quale il sogno nel cassetto, a livello fotografico ovviamente, che speri possa avverarsi quanto prima?
“Ogni cosa bella che mi capita, mi soddisfa e mi dà piacere. Mi piace la sorpresa e fare cose d’impulso, per questo non ho un solo sogno nel cassetto ma centinaia; diciamo che, fra i tanti, quello che vorrei davvero realizzare è riuscire a fare una mostra di un mio progetto a cui sto lavorando da circa 15 anni sugli operatori ecologici. Sono un sognatore, guardo e vedo il bello prima del brutto e, quando posso, faccio in modo che anche quest’ultimo sia convertibile”.
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