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Intervista a Pietro Besi da tutti conosciuto a Sansepolcro come "Zillone"

Ex pugile professionista dei pesi massimi

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Al secolo è Pietro Besi, per i suoi concittadini di Sansepolcro è “Zillone”, ex pugile professionista dei pesi massimi e uno fra i personaggi di livello assoluto più elevato che la città biturgense ha espresso nello sport. Alla soglia degli 80 anni (li compirà il prossimo 31 luglio), Pietro Besi si ritrova a vivere un’altra esperienza di vita significativa, della quale parla con la simpatia che lo contraddistingue.      

Besi, una situazione inedita anche per Lei, questa generata dal coronavirus?

“Sì, anche se sono oramai vicino al traguardo degli 80 anni e quindi di “avventure” particolari ne ho vissute diverse nella mia vita. Questa sta cambiando il nostro modo di vivere, facendoci abituare a nuovi stili. Sono sincero: fino ad ora eravamo un po’ troppo allo sbaraglio, ora è arrivato un freno che – sono convinto – ci farà bene”.

Una pandemia che abbiamo inizialmente sottovalutato?

“Seguo con molta attenzione i telegiornali e le trasmissioni dedicate all’argomento, perché mi interessano e perchè comunque di questi tempi è anche molto difficile dedicarsi ad altro. Tutto dicono che siamo partiti tardi, perché l’abbiamo presa inizialmente alla leggera: nessuno conosceva con esattezza la  portata del virus e tutti ci davano garanzie sulla sua non pericolosità. Poi all’improvviso il fenomeno ha cominciato a dilagare e abbiamo preso le necessarie precauzioni, fino forse a esagerare un tantino. Siamo passati da un estremo all’altro e non vorrei che tutto ciò si trasformasse in speculazione a danno dei nostri portafogli. Se qualcuno in questi ultimi tempi è andato con regolarità a fare spesa, si sarà accorto che il prezzo di diversi prodotti è aumentato”.

Cosa la preoccupa della “fase 2” già in atto?

“Non penso che la gente approfitti più di tanto della parte di libertà riconquistata. Il caso nostro di Sansepolcro è poi particolare: vivendo ai confini con altre tre regioni, anche la nostra mobilità è abbastanza circoscritta, tanto che non possiamo percorrere nemmeno tre chilometri per andare a trovare i nipoti che abitano in Umbria. Questo criterio basato su una territorialità regionale mi sembra alquanto strano, come strana è anche l’interpretazione in senso più o meno restrittivo delle regole, per cui può capitare che determinati comportamenti vengano sanzionati da un corpo delle forze dell’ordine ma non da un altro”.

Riusciremo a recuperare quella normalità che adesso ci sembra un sogno?

“Senz’altro! Sono nato nel 1940 ed ero piccolo nel dopoguerra, ma mi ricordo tutto e posso dire che eravamo messi molto peggio di ora. C’era da ricostruire laddove era stato distrutto e nel frattempo arrivò una epidemia di tifo che ci costrinse a non uscire di casa nel vero senso della parola: 3-4 giorni interi senza mai mettere il naso fuori. E come se non bastasse, nel 1948 ci mise a terra anche il terremoto: io ero fra gli sfollati a Porta del Ponte. Oggi siamo più avanti di allora e vorrei capire fino in fondo l’esatta causa dei 500-700 morti al giorno con i quali abbiamo fatto i conti fino a qualche giorno fa, perché mi risulta che in molti casi la situazione dei singoli pazienti fosse già compromessa in precedenza. Poi, il coronavirus ha inferto la mazzata finale”.

Che cosa ci ha insegnato questo periodo di ristrettezze e sacrifici?

“Certamente, ai giovani che non erano abituati a un simile regime può avere insegnato molto. Sono però convinto che si tornerà come prima; l’importante è non dimenticare questa parentesi: ci servirà per vivere meglio e per apprezzare ancora di più la vita. Mi ha fatto piacere notare la maggiore educazione e disciplina della gente anche negli esercizi in cui si va fare spesa: ebbene, facciamo in modo di conservare anche in futuro queste buone maniere”.          

Redazione
© Riproduzione riservata
12/05/2020 09:23:03


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