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Cochi e Renato, la biografia "intelligente" di due pionier
È giunto il momento di storicizzare la loro avventura artistica
In principio furono Cochi e Renato, e da lì la storia del cabaret prese tutta un'altra direzione.
È giunto il momento di storicizzare la loro avventura artistica. O meglio, di storicizzarla come si deve. Perché sarà pure vero, come sostiene Pozzetto, che «su di noi è già stato detto tutto», però un lavoro meticoloso e approfondito, come quello che hanno realizzato Andrea Ciaffaroni e Sandro Paté per il libro Cochi e Renato. La biografia intelligente (Edizioni Sagoma), finora non era ancora stato fatto. C'è il precedente, molto nobile, di Beppe Viola che scrisse Cochi e Renato, preistoria di una coppia chiusa in un Pozzetto, però risale al 1976, e da allora di acqua sotto i ponti della coppia ne è passata parecchia.
Dunque una biografia in tandem, con la prima parte in cui Paté fa un grandangolare sugli esordi del duo fino all'affermazione al Derby Club, avvenuta grazie al «nume tutelare» Enzo Jannacci che si prese la briga di formarli come uomini, non solo come cabarettisti. Alla prima parte del volume segue la seconda, a cura di Ciaffaroni, col racconto della consacrazione definitiva in tv e poi della separazione delle carriere, a seguito della quale Renato conseguì i trionfi al cinema, mentre Cochi si concentrò sul teatro di prosa e sperimentale.
La prima parte riporta alla memoria osterie non più esistenti, in particolare L'Oca d'Oro vicino a Porta Romana, dove i due ebbero la fortuna di proporre il repertorio primordiale ad avventori del calibro di Piero Manzoni e Lucio Fontana. L'apprezzamento di questi intellettuali gli diede la carica per conquistare dapprima la scena milanese e poi la ribalta nazionale.
Questo libro, portato a termine con l'ausilio delle testimonianze dirette di personaggi famosi e non, fa il paio con l'Archivio Storico del Cabaret Italiano, che Flavio Oreglio ha messo in piedi anche per far sì che le vecchie osterie e i vecchi locali, dove Cochi e Renato esordivano, non si smarriscano nella nebbia milanese. Perché il cabaret, come dice Cochi, «è uno strano mestiere fatto al 50% di disperazione e al 50% di gioia di vivere». E non possiamo correre il rischio di perdere né l'una e né l'altra.
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