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Chiesa di San Casciano a Sansepolcro: ma perche’ questa fine ingloriosa?

Da un paio di anni, niente più liturgie per un motivo a suo modo incredibile

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Una chiesa storica di Sansepolcro trasformata in un magazzino. Piccola quanto si voglia, ma pur sempre carica di un passato ultrasecolare che merita rispetto assoluto. San Casciano, collina sopra la città e l’ospedale: un angolo incantevole di natura in mezzo a tre case e a distanza di pochi metri dalle villette in leggera altura che contornano il centro urbano di Sansepolcro. Con l’inevitabile contorno di verde. Qui c’è un’antica chiesina che è rimasta nel cuore dei biturgensi: basta fare un piccolo sforzo per percorrere il tratto finale che conduce lassù da via dei Molini, in quanto la strada si inerpica. Chiesa significa edificio di religione e di culto, ma anche luogo di storia e di arte, né sono le dimensioni più o meno grandi a stabilire la sua importanza secondo una logica di diretta proporzionalità. Se una chiesa ha tanti secoli alle spalle, non occorre altro: il fatto che sia piccola non conta. Tutt’altro! Di San Casciano abbiamo allora deciso di occuparci per evidenziare una situazione che francamente appare assurda, paradossale e – diciamolo francamente – offensiva nei confronti di un qualcosa che dovrebbe costituire patrimonio cittadino da salvaguardare e che invece rischia di finire nel dimenticatoio. La storia della chiesina, dalla quale partiamo, rivendica un diritto e una dignità a pieno titolo.

UNA CHIESINA CON OLTRE 700 ANNI DI STORIA

È lo storico Don Andrea Czortek a fornire gentilmente informazioni sulla storia legata alla chiesa di San Casciano, precisando come le prime notizie scritte risalgano al 1282, anno nel quale l’abate Zeno di Sansepolcro e il parroco Uguccione di San Casciano si mettono d’accordo sulla definizione dei confini delle rispettive parrocchie. A quella di San Casciano spetta la parte dell’angolo dalla via che va a Sant’Angelo delle Corti fino al ruscello di Corbolaria e alla parrocchia di Farneto; dieci anni più tardi, la parrocchia figura nel testamento del giudice Guarnerotto di Guarnieri per un lascito di 20 soldi che riguarda il pagamento delle decime. Guarnerotto era proprietario anche di una vigna nella località di San Casciano, lasciata all’ospedale di San Niccolò affinchè i proventi venissero utilizzati per gli infermi. E questa zona è conosciuta anche come Collevecchio. Molte chiese, nel periodo medievale, avevano i patroni, laici o ecclesiastici che fossero, ai quali spettava il compito di nominare il rettore. Patroni di San Casciano erano i conti di Montedoglio e le famiglie Cattani e Graziani, due fra quelle più in vista nel Borgo di allora, anche se quella dei Graziani è più legata alla chiesa; un suo esponente, Graziano – figlio di Bigello di Rosso – assume il ruolo di rettore dal 1329 al 1353, anno della sua morte. E comunque, la continuità della famiglia Graziani è garantita, perché il successore di Bigello di Rosso è Pietro di Giobbe Graziani. Nel 1363, alla chiesa viene devoluto un lascito testamentario di 10 lire per la riparazione delle case ad essa annesse; si ritiene che i danni subiti fossero quelli conseguenti al terremoto e vi sono ragionevoli motivi per pensare che l’anno fosse il 1352, quando un forte sisma di magnitudo 6.4 con epicentro nella zona di Monterchi si verificò proprio il 25 dicembre, giorno di Natale. E con i documenti scritti si passa all’anno 1408, quando i patroni incaricano il nobile Giovambattista dei Tolomei di Siena di scegliere il nuovo rettore della chiesa. La scelta ricade su don Nicoluccio di Nicoloso Graziani, che nel 1415 chiede la riconsacrazione la chiesa di San Casciano poiché al suo interno si sarebbe consumato un atto di natura sessuale; a presiedere la liturgia di consacrazione è il vescovo di Tivoli, Santi da San Marino, un francescano. Nel 1451 don Nicoluccio c’è ancora ed è anche parroco di San Giovanni d’Afra nel periodo in cui Piero della Francesca dipinge la tavola del “Battesimo di Cristo” per la chiesa di San Giovanni Battista, quella situata lungo via Giovanni Buitoni, che oggi è sede del museo della vetrata antica. I Graziani manterranno il patronato di San Casciano fino al XIX secolo. Una strada pubblica collega il contesto urbano della città alla chiesa, che si trova in cima alla collina chiamata come la chiesa e da tutti conosciuta come tale: oggi, dall’incrocio semaforizzato della vecchia statale 3 bis, si sale attraverso via dei Molini e si arriva in cima; nel 1344, esisteva già una via pubblica, detta via nuova di San Casciano che si interseca tuttora con una reglia. Nel 1533, i Magnifici Conservatori del Comune di Sansepolcro approvano l’esecuzione di lavori di riparazione del ponte del Fossatone, lungo la via che va dalla Palazzetta a San Casciano. Nel 1525, alla chiesa di San Casciano si reca il vicario generale del vescovo Leonardo Tornabuoni ed è la prima visita pastorale compiuta nella diocesi di Sansepolcro, eretta da appena qualche anno. Nel 1583, la chiesa è detta anche di San Lorenzo, il rettore è ancora un esponente della famiglia Graziani, Antonio Maria e quell’anno arriva in visita monsignor Angelo Peruzzi, vescovo di Sarsina e visitatore apostolico della Diocesi di Sansepolcro. La chiesa viene però trovata in cattive condizioni: è male coperta, ha le pareti scrostate e il pavimento devastato; c’è un solo altare, ma manca del necessario per potervi officiare la santa messa, che infatti è celebrata soltanto una volta all’anno, nella festa di San Lorenzo, che cade il 10 agosto e l’occorrente per il rito viene portato dalla città. Il prelato in visita ordina che venga riparata e ripavimentata, che vi venga installata una nuova porta di legno, che l’altare sia fornito del necessario e di una tela raffigurante San Lorenzo. Non solo: oltre al giorno della festa, dovrà esservi celebrata la messa almeno una volta al mese. All’interno della chiesa di San Casciano è sepolta Rosa Costaguti, madre di Roberto Costaguti, vescovo di Sansepolcro dal 1778 al 1818, morta nel luglio del 1798 nella vicina residenza estiva del vescovo, che è l’odierna Villa Righelli Landi, nota per la sua pianta a forma ottagonale. Ma se andiamo a vedere sulla parete esterna di destra della chiesa, rispetto alla facciata, troviamo una lapide con una scritta che fa capire come a San Casciano si trovino le spoglie di un’altra persona. Leggiamo quanto inciso sulla pietra: “Qui in pace riposano le ossa della nobildonna Maria Cherubina Migliorati, vedova del nobiluomo Sig. Cav. Ranieri Francesco Pichi. Donna di spirito e di talento della letteratura amica e dei letterati nata il 5 giugno 1730, morta il 29 maggio 1800”. Nell’elenco delle parrocchie della Diocesi di Sansepolcro del 1941, la chiesa di San Casciano figura come oratorio all’interno della Parrocchia di San Francesco e come tale è rimasta fino al 1986, quando la parrocchia è stata soppressa. A quel punto, San Casciano è stata aggregata alla parrocchia di San Paolo, il cui titolare fino a pochi anni fa, don Zeno Gori, ne ha curato il restauro avvenuto alla fine degli anni ’90. Sempre sulla parete esterna di destra, c’è una piccola edicola con sotto la scritta 1998, anno al quale risale quasi sicuramente il restauro.

LA DIGNITA’ DI CHIESA ANCHE IN CHIAVE TURISTICA

Soltanto come testimonianze scritte, è una storia che ci riporta indietro di 736 anni: San Casciano c’era già ed era parrocchia. Da un paio di anni, invece (poi, possiamo sbagliare di uno o due mesi ma questa è la realtà), la chiesa si ritrova di fatto chiusa al culto. Per quale motivo? Perché laddove si dovrebbero tenere le celebrazioni, la locale Caritas ha sistemato alimentari, vestiario, mobilio e altri generi. Insomma - come sottolineato in apertura – da chiesa è diventata un magazzino, un garage, o comunque un locale di servizio per la Caritas. Ognuno può scegliere la definizione che ritiene più opportuna. E il bello è che la chiesa non è stata assolutamente sconsacrata; in teoria, la santa messa si può ancora celebrare. Gli stessi residenti del posto ricordano con nostalgia i tempi anche più recenti, quando oltre alle liturgie nei giorni festivi si svolgevano ad esempio le funzioni nel mese di maggio con cadenza giornaliera, ma c’è anche chi a San Casciano si è sposato o vi ha battezzato il proprio figlio. Compatibilmente con la disponibilità dei sacerdoti, che fino a qualche decennio fa garantivano una buona presenza ma che oggi, numericamente parlando, scarseggiano sempre più (e quindi si debbono accollare più chiese nelle loro spalle per non lasciare scoperte determinate località), questa chiesa è comunque andata avanti fino a poco tempo fa e le poche messe che vi si dicevano erano comunque motivo di apprezzamento da parte della popolazione. Ora, tutto sembra essere finito per quella che appare come una esigenza di natura “logistica” per un’associazione comunque meritoria. Diamo atto alla Caritas e ai suoi volontari di quello che stanno facendo: è una nobile missione alla quale rivolgiamo il nostro plauso. Quello che non ci trova d’accordo è l’ubicazione: è possibile – domanda di fondo rivolta da molti biturgensi – che in tutta la città non vi sia un solo fondo, un garage o un normale vano sfitto nel quale riporre questo materiale? Peraltro, sarebbe un posto anche più comodo da raggiungere rispetto alla chiesa di collina. Eppure, di contenitori vuoti a Sansepolcro ce ne sono, eccome! Questo è lo strano “mistero” legato alla destinazione attuale della chiesina di San Casciano, con la speranza che vi sia all’origine quella ragione plausibile che però noi, onestamente, non riusciamo a individuare. A tutto c’è una spiegazione e quindi vi sarà anche per questa decisione. Resta il fatto che anche chi vi si voleva recare solo per dire una preghiera non può più farlo e che questa idea del magazzino non è assolutamente piaciuta alla maggioranza di una comunità, quella biturgense, che sarà pure abulica e menefreghista per certi aspetti, ma che in certi casi dimostra di essere molto attaccata a ciò che ad essa appartiene, indipendentemente dalla devozione o meno del singolo. Prova ne sia che, per far fronte alla già evidenziata scarsità di sacerdoti, la chiesina continuava ad essere aperta grazie all’impegno di alcuni volontari, rimasti male per questo cambio di destinazione che ha interessato l’edificio religioso. Se pertanto da un lato dobbiamo lodare la Caritas per il servizio che svolge, dall’altra siamo costretti a evidenziare anche la scarsa sensibilità dimostrata in tal senso, perché intanto esistono luoghi più idonei e perché a Sansepolcro vi sono sicuramente altri locali liberi nei quali sistemare ciò che serve alla Caritas. Un gruppo di persone, che evidentemente osteggia in maniera decisa quanto è stato fatto, ha intenzione di promuovere una raccolta di firme da inviare al vescovo diocesano per restituire alla chiesa tutta la sua dignità e quindi farla tornare luogo di preghiera. Vi sarebbe poi un’ulteriore “causale” a supporto, fermo restando che la prima rimane quella del culto: proprio di fronte alle scale che si salgono per arrivare all’ingresso della chiesina, è posizionato un cartello un po’ sbiadito a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici, ma che di questi tempi assume un’importanza “sensibile”: è infatti riportato in esso il simbolo del “Tau” e si allude ai Cammini di Francesco. Cosa vogliamo fare, allora? Inviare i pellegrini all’interno di un magazzino, oppure riservare loro una piccola “chicca”, perchè l’interno della chiesa non è meno interessante della sua storia? Quando si allestiscono itinerari di questo tipo, dove religiosità, arte e natura camminano a braccetto, le chiese divengono i luoghi più ricercati. E non esiste, giustamente, un cammino senza tappe nelle chiese; San Casciano sarebbe quindi l’ideale per il pellegrino in marcia verso Montecasale: c’è la stradina che scende giù in direzione dell’ospedale del Fossatone; a quel punto, c’è solo da dirigersi verso l’eremo. Anzi, a volersi organizzare bene in chiave turistica, bisognerebbe pure installare cartelli stradali che indicassero la chiesa di San Casciano. Magari, vi sarebbe da ridire qualcosa anche nel merito del restauro: se uno osserva facciata e campanile, si accorge subito come siano state messe tegole nuove e non di recupero. E comunque, un posto che vuol fare della spiritualità e della bellezza i suoi cavalli di battaglia non può agire in questa maniera: la chiesina deve essere quindi sgomberata.              

Redazione
© Riproduzione riservata
23/07/2018 10:52:09


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