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Il Papa tra i rifugiati di Lesbo. “Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!”

"Superiamo l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse"

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«Superiamo la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini. Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!». Papa Francesco, proveniente in aereo da Atene, arriva a Lesbo, e dal Reception and Identification Centre lancia un grido di aiuto per i rifugiati dell’isola e per i migranti disperati di tutto il mondo. «Troviamo il coraggio di vergognarci davanti ai volti dei bambini», esclama. Bergoglio è qui per la seconda volta dopo la precedente del 16 aprile 2016. Entrato nel campo, si dirige a piedi verso il luogo della cerimonia, intrattenendosi lungo il tragitto con i profughi in sua attesa, accarezzando in particolare i tanti bambini, spesso molto piccoli, stringendo mani, dispensando sorrisi, saluti e parole di conforto e incoraggiamento. Si ferma anche ad ascoltare le storie e le invocazioni di alcuni dei rifugiati, delle provenienze più diverse, dall'Asia, al Medio Oriente, all'Africa. Il Pontefice, accolto dalla presidente della Repubblica ellenica, Ekaterini Sakellaropoulou, e dall'ordinario della diocesi, l’arcivescovo monsignor Josif Printezis, è nell'area attrezzata per l'accoglienza dei rifugiati che ha sostituito il campo profughi di «Moria», il più grande d'Europa fino al settembre 2020 quando è stato interamente distrutto da un incendio. Proprio a Moira il Papa era stato cinque anni fa. I rifugiati sono stati nel frattempo in parte ricollocati o trasferiti in altre isole dell'Egeo, e nel campo di Mytilene, soprannominato dai greci «Moria 2.0», ve ne sono oggi alcune migliaia, con numeri che oscillano tra i 2.000-2.500 e gli oltre 4.000-4.200. Secondo la Caritas, attualmente nelle baracche, tendoni e container risiedono 2.200 persone. Le provenienze vanno dalle zone di conflitto dell'Asia e del Medio Oriente fino a quelle dell'Africa. Le attese dei permessi di asilo in Europa sono lunghissime. Molte le famiglie con bambini anche in tenerissima età. 

Il cerimoniale prevede un canto iniziale, quindi il saluto del Vescovo, la testimonianza di un rifugiato e quella di un volontario. Previsto poi il discorso del Pontefice, cui segue la consegna di un dono dei bambini a Francesco.

«Cari fratelli e sorelle», esordisce il Pontefice, «grazie per le vostre parole. Sorelle, fratelli, sono nuovamente qui per incontrarvi. Sono qui per dirvi che vi sono vicino. Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime. Il Patriarca Ecumenico e caro Fratello Bartolomeo, cinque anni fa su quest’isola, disse una cosa che mi colpì: “Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo”».

Anche secondo il Vescovo di Roma «sì, è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti. La pandemia ci ha colpiti globalmente, ci ha fatti sentire tutti sulla stessa barca, ci ha fatto provare che cosa significa avere le stesse paure. Abbiamo capito che le grandi questioni vanno affrontate insieme, perché al mondo d’oggi le soluzioni frammentate sono inadeguate. Ma mentre si stanno faticosamente portando avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa, pur tra molti ritardi e incertezze, sembra muoversi nella lotta ai cambiamenti climatici, tutto sembra latitare terribilmente per quanto riguarda le migrazioni». Eppure ci sono in gioco «persone, vite umane! C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato. Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose». Infatti, come ha ricordato «il Concilio Vaticano II, “la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace” (Gaudium et spes, 78)». Per Bergoglio è «un’illusione pensare che basti salvaguardare se stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri». Per volgerlo al bene «non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro. La storia, ripeto, lo insegna, ma non lo abbiamo ancora imparato. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi!».

Prosegue Francesco: «Sorelle, fratelli, i vostri volti, i vostri occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le vostre storie e di non dimenticare i vostri drammi. Ha scritto Elie Wiesel, testimone della più grande tragedia del secolo passato: “È perché ricordo la nostra comune origine che mi avvicino agli uomini miei fratelli. È perché mi rifiuto di dimenticare che il loro futuro è importante quanto il mio”». In questa domenica, il Pontefice prega Dio «di ridestarci dalla dimenticanza per chi soffre, di scuoterci dall’individualismo che esclude, di svegliare i cuori sordi ai bisogni del prossimo. E prego anche l’uomo, ogni uomo: superiamo la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini!». Il Papa esorta a contrastare alla radice «il pensiero dominante, quello che ruota attorno al proprio io, ai propri egoismi personali e nazionali, che diventano misura e criterio di ogni cosa».

È passato un lustro dalla visita «compiuta qui con i cari Fratelli Bartolomeo e Ieronymos. Dopo tutto questo tempo constatiamo che sulla questione migratoria poco è cambiato. Certo, molti si sono impegnati nell’accoglienza e nell’integrazione, e vorrei ringraziare i tanti volontari e quanti a ogni livello – istituzionale, sociale, caritativo – si sono sobbarcati grandi fatiche, prendendosi cura delle persone e della questione migratoria. Riconosco l’impegno nel finanziare e costruire degne strutture di accoglienza e ringrazio di cuore la popolazione locale per il tanto bene fatto e i molti sacrifici provati. Ma dobbiamo amaramente ammettere che questo Paese, come altri, è ancora alle strette e che in Europa c’è chi persiste nel trattare il problema come un affare che non lo riguarda». Il Papa mette in evidenza «quante condizioni indegne dell’uomo! Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte! Eppure il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto! È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri. Certo – osserva Francesco - si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza». È invece possibile «unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo». Francesco cita ancora «Elie Wiesel: “Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti”».

In diverse società si stanno «opponendo in modo ideologico sicurezza e solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura. Piuttosto che parteggiare sulle idee, può essere d’aiuto partire dalla realtà: fermarsi, dilatare lo sguardo, immergerlo nei problemi della maggioranza dell’umanità, di tante popolazioni vittime di emergenze umanitarie che non hanno creato ma soltanto subito, spesso dopo lunghe storie di sfruttamento ancora in corso». Denuncia il Pontefice: «È facile trascinare l’opinione pubblica istillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio? Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica!». Per rimuovere le cause profonde, non si possono «solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti epocali con grandezza di visione. Perché non ci sono risposte facili a problemi complessi; c’è invece la necessità di accompagnare i processi dal di dentro, per superare le ghettizzazioni e favorire una lenta e indispensabile integrazione, per accogliere in modo fraterno e responsabile le culture e le tradizioni altrui».

Soprattutto, se «vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro. Interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: “Quale mondo volete darci?” Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge». Il Mediterraneo, che per millenni «ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo “mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”. Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!».

Sulle rive di questo mare «Dio si è fatto uomo. Egli ci ama come figli e ci vuole fratelli. E invece si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani. La fede chiede invece compassione e misericordia. Esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo». Non è ideologia «religiosa, sono radici cristiane concrete. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato. E il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù. Sì, perché il programma cristiano, ha scritto Papa Benedetto, “è un cuore che vede”».

Il Papa invita a pregare «la Madonna, perché ci apra gli occhi alle sofferenze dei fratelli. Ella si mise in fretta in viaggio verso la cugina Elisabetta che era incinta. Quante madri incinte hanno trovato in fretta e in viaggio la morte mentre portavano in grembo la vita! La Madre di Dio ci aiuti ad avere uno sguardo materno, che vede negli uomini dei figli di Dio, delle sorelle e dei fratelli da accogliere, proteggere, promuovere e integrare. E amare teneramente. La Tuttasanta ci insegni a mettere la realtà dell’uomo prima delle idee e delle ideologie, e a muovere passi svelti incontro a chi soffre».

Dopo la recita dell'Angelus domenicale, il Papa si ferma di nuovo con alcuni rifugiati e visita le loro abitazioni. 

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
06/12/2021 05:59:21


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