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Solidarietà, beneficenza, volontariato: il cuore al posto della visibilità

Spesso un piccolo gesto può trasformarsi in significativo atto di solidarietà

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Solidarietà: cosa significa questa parola? Se leggiamo il vocabolario, troviamo scritto: “atteggiamento spontaneo, o concordato, rispondente a una sostanziale convergenza o identità di interessi, idee e sentimenti”.  Sul piano etico, è sinonimo di fratellanza e sostegno reciproco, che riunisce i componenti di una collettività nell’appartenenza a una società e nella consapevolezza dei comuni interessi. Ma la solidarietà è anche il sentimento che spinge una persona a comprendere la situazione di un’altra e ad adoperarsi per aiutarla in un determinato momento. O comunque, a fare un qualcosa di importante anche per un’associazione o per una qualsiasi realtà, in base all’esigenza contingente. Spesso, anche un piccolo gesto può trasformarsi in significativo atto di solidarietà. Semmai, con il trascorrere del tempo, la parola solidarietà ha assunto un significato similare a quello di beneficenza e addirittura di assistenzialismo, come aveva fatto notare il noto giurista Stefano Rodotà. Perché questa esigenza di parlare di solidarietà? E in che rapporto stanno solidarietà e beneficenza? Le persone con le quali cresciamo assieme hanno il nostro stesso obiettivo e spesso sono più competitive che amichevoli. Buono per un verso, cattivo per un altro, visto che si rischia di degenerare nella sopraffazione. La solidarietà è un valore della nostra società, senza il quale non si può parlare ad esempio di democrazia. Solo attraverso la solidarietà, in quanto portatrice anche degli altri tre valori rivoluzionari prossimi – fraternità, uguaglianza e libertà – si può offrire una visione positiva del mondo, perché essere solidali aiuta a far parte di qualcosa; aiuta a non sentirci figli unici, ma ad agire pensando di avere tanti altri fratelli. Quando si parla di solidarietà, in base anche agli insegnamenti ricevuti in famiglia, si invita sempre ognuno a immedesimarsi nella situazione in cui vive l’altro; solo così si può se non altro provare a toccare con mano la realtà, evitando di chiudere il capitolo in poco tempo, come quando ci capita di affrontare questioni delicate ma che vogliamo liquidare perché… “non ci riguardano”. E allora mettiamoci a volte nei panni degli altri, non solo quando vorremmo raggiungere i loro stessi traguardi. In nome quindi della solidarietà, intesa come eguaglianza, si colloca l’aspetto della beneficenza o del semplice “sostegno”, finalizzato a esaltare il principio di solidarietà perché – per motivi o situazioni di vario genere – in un determinato frangente una o più persone non vivono in una condizione di eguaglianza, sia essa materiale oppure morale, o anche entrambe le situazioni.

Dimostrare solidarietà attraverso un aiuto concreto è stato dunque codificato con il termine beneficenza. Che però si adoperi il termine aiuto, sostegno, beneficenza o anche solidarietà, in questo frangente lo considero indifferente, poiché mi interessa puntare l’attenzione sul “movente”. Si fa beneficenza – e quindi si dimostra solidarietà – perché lo si sente veramente dentro o perchè si è anche (o persino soltanto) mossi da voglia di visibilità? A volte, è capitato di vedere gente ammirevole nei comportamenti, che però avvertiva una tendenziale esigenza nell’ostentare questo suo modo di fare. E allora dico: certe cose si fanno ma non si dicono, in linea con il principio che muoveva gli “incappucciati” della Misericordia. Questi signori, dei quali si scorgeva soltanto il contorno degli occhi, non si coprivano di certo per vergogna, ma per far capire che ciò che conta è il gesto e non l’autore o gli autori di esso. E allora dico: aiutare gli altri deve essere un qualcosa che viene spontaneamente dal cuore e non l’occasione per mettersi in mostra. Solo se si parla di iniziative realizzate da parte di associazioni è necessario per me rendere pubblico il gesto o il progetto, perché è doveroso rispondere ai soci che hanno contribuito al buon esito di quanto programmato: in questo caso la trasparenza è fondamentale. Se allora riporto con piacere due circostanze che mi riguardano anche personalmente, non lo faccio per autocelebrazione, ma perché il soggetto artefice era un’associazione della quale ovviamente il sottoscritto faceva e fa parte. Ecco allora la prima iniziativa, fatta assieme a Confartigianato Imprese Arezzo una decina di anni fa, quando ero presidente nazionale della Federazione Legno Arredo: si tratta della realizzazione di una grande falegnameria in Tanzania. L’idea era nata dopo aver conosciuto un frate del Casentino missionario nello Stato dell’Africa centro-meridionale, che mi aveva raccontato la sua vita di missionario e chiesto di dargli una mano per aprire questa falegnameria dalla A alla Z, ossia completa di tutte le attrezzature di cui necessita per svolgere al meglio l’attività. Un’operazione straordinaria a livello economico, ma soprattutto concettuale, perché in linea con un saggio principio: quello secondo cui, al posto di servirglielo in tavola già pronto, si insegnava alla persona affamata il sistema per pescare il classico pesce. Mi sono quindi adoperato per acquistare i macchinari e organizzare i trasporti al fine di dare un’opportunità ai tanti giovani che vivono in condizioni pazzesche, ma che così in breve tempo si sarebbero ritrovati con un nobile mestiere in mano: quello appunto della lavorazione del legno per la produzione di mobili e infissi. Per fare questo, convinsi anche due artigiani in pensione a recarsi in Tanzania per istruire i futuri falegnami al funzionamento dei macchinari. Alcune settimane fa, dopo dieci anni, con mia grande meraviglia, mi è stata recapitata una lettera nella quale un altro frate missionario mi ringraziava per ciò che abbiamo fatto, perché il progetto della falegnameria era riuscito a metterne in moto altri: più attività presenti, quindi più lavoro per la gente e di conseguenza anche una maggiore qualità della vita in quei villaggi. La seconda circostanza alla quale alludo non è un’iniziativa, ma una risposta affermativa all’invito rivoltomi dal Calcit della Valtiberina di far parte dello stesso comitato che si occupa della lotta contro i tumori. Anche sulla spinta di una persona a me molto cara che purtroppo ho perduto e di un’altra che conosco bene e che ha avuto a che fare con il cancro, sono entrato nel Calcit perché credo che la prevenzione sia fondamentale per sconfiggere questa terribile malattia e soltanto toccando con mano la realtà mi sono reso conto di quanto la sanità italiana debba essere aiutata. Sono pertanto al servizio di questa associazione per farla crescere e per dare una mano sia alle persone colpite da questa malattia che alla ricerca di nuovi farmaci. Al proposito, due sono i progetti legati agli ultimi mesi di attività del Calcit: lo scorso novembre, la donazione all’Ospedale della Valtiberina di un apparecchio di pressoterapia pneumatica per dare una risposta più efficace e veloce alle numerose richieste di linfodrenaggio manuale di pazienti oncologici; ora, a inizio luglio, il “Dragon Boat”, che vede il Calcit assieme ad altre associazioni nel realizzare un progetto sperimentale per la riabilitazione oncologica.

Comportamenti del genere – lo ripeto – debbono però venire solo dal cuore e senza manie di protagonismo: questa non può essere la moneta occulta con la quale si paga il volontariato, il quale deve essere mosso dal solo gusto di dare senza pensare a ricevere. Il volontariato ha dunque un senso se qualcuno sente di poter offrire qualcosa a prescindere da qualsiasi condizione e la vera gratifica è proprio la soddisfazione che si prova nell’aver aiutato qualcuno in forma pura, senza cioè alcun tipo di corrispettivo. Vi è poi un arricchimento del proprio bagaglio personale dovuto alla rete di conoscenze, di nuove persone e di nuove culture, che è stato generato dall’attività di volontario, efficace anche per imparare cose nuove e per metterci in sfida con noi stessi. Nuove abilità destinate a servire nella vita. E in ultima analisi, la rete di individui e relazioni della quale si entra a far parte può rivelarsi utile anche per diventare una opportunità di lavoro. Essere volontari significa far parte di una comunità e di una collettività; significa poi ritrovare una propria identità sociale e condividere assieme ad altri determinati valori. Nel percorso della vita, il volontariato rappresenta una tappa di crescita dal punto di vista umano e genera soddisfazione e appagamento: il fatto di poter garantire alla società un contributo gratuito, ma di elevato valore dal punto di vista umano, dà un senso stesso all’esistenza di ognuno, fatta di responsabilità verso il lavoro e verso la famiglia, della giusta parentesi di svago e di quel qualcosa che la impreziosisce, proprio perché finalizzata al bene collettivo. La soddisfazione di aver svolto un’opera buona nei confronti del prossimo trasmette una serenità interiore che diventa il motore giornaliero con il quale si affrontano le varie situazioni. Fa sentire ricchi dentro ed è questo l’aspetto che conta, purchè tutto rimanga un segreto personale: nessun riconoscimento o attestato pubblico riuscirà a gratificare più di una coscienza personale orgogliosa di aver fatto il suo, sapendo di aver agito nel giusto. È questa la felicità vera: nessun momento di visibilità sa dare di più, specie se dopo il gesto compiuto dovesse esservi una corsa “scientifica” verso la ribalta. La solidarietà, la beneficenza e il volontariato sono belle quando conservano la compostezza e la riservatezza; in altre parole, quando a scoprire le nostre doti sono gli altri e diventiamo per loro una gradita sorpresa, gli esempi da imitare. Anche su questo aspetto, insomma, il ritornello non cambia: lo star bene con sé stessi non ha davvero alcun prezzo.       

Domenico Gambacci
© Riproduzione riservata
02/08/2021 09:34:49

Punti di Vista

Imprenditore molto conosciuto, persona schietta e decisa, da sempre poco incline ai compromessi. Opera nel campo dell’arredamento, dell’immobiliare e della comunicazione. Ha rivestito importanti e prestigiosi incarichi all’interno di numerosi enti, consorzi e associazioni sia a livello locale che nazionale. Profondo conoscitore delle dinamiche politiche ed economiche, è abituato a mettere la faccia in tutto quello che lo coinvolge. Ama scrivere ed esprimere le sue idee in maniera trasparente. d.gambacci@saturnocomunicazione.it


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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