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Cinque domande con...Lucia De Robertis vicepresidente del consiglio regionale della Toscana

Dal 2013 siede fissa sugli scranni dell’assemblea regionale fra le file del Partito Democratico

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Fra Covid-19 e imminenti elezioni regionali, è un 2020 pieno di impegni per l’aretina Lucia De Robertis, attuale vicepresidente del consiglio regionale della Toscana. Entrata per la prima volta in consiglio comunale ad Arezzo nel 2004, è stata successivamente assessore in due legislature e dal 2013 siede fissa sugli scranni dell’assemblea regionale fra le file del Partito Democratico.

Consigliere De Robertis, che bilancio si può stilare dell’emergenza coronavirus in Toscana, sia come fenomeno che come gestione di esso?

“E’ stato un fenomeno contenuto perché è stata fatta una buona gestione fin dall’inizio, quando il Covid-19 era stato sottovalutato da altre parti. Per esempio, abbiamo attivato il pre triage, attraverso il quale è stato possibile effettuare il controllo in ingresso dei pazienti e questo lo ha voluto il nostro presidente Enrico Rossi. La separazione dei pazienti già prima dell’ingresso al pronto soccorso ha favorito una divisione netta dei percorsi delle patologie. Altra operazione fatta: la verifica immediata a metà febbraio sulle comunità cinesi, specie nel Pratese, controllando tutte le persone reduci dal Capodanno cinese”.

La Toscana ha aperto all’Umbria per ciò che riguarda l’accesso di chi risiede nei Comuni di confine, ma l’Umbria non ha fatto altrettanto. Un impegno vano, per ora, quello della Toscana nell’ordinanza di domenica scorsa?

“Ciò che ha fatto la Toscana, avrebbe potuto farlo l’Umbria, senza arroccarsi troppo sul fatto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non preveda assolutamente un minimo di flessibilità e che, quindi, giusto o non giusto, debba essere rispettato. C’è però una novità: il presidente Enrico Rossi sta sollecitando l’Umbria, nonostante il nostro territorio sia tale che in qualche caso esiste un Comune distante due soli chilometri dal confine, ma non potrebbe oltrepassarlo perché in quella ristretta striscia di terra vi è il territorio di un altro Comune”.

Quanto avvenuto impone una seria riflessione su una nuova impostazione della sanità?

“Nessuna nuova impostazione, quella no. La concentrazione in grandi aree, che sembrava un grande limite, si è invece rivelata una buona cosa. Pensiamo soltanto quale genere di confusione avrebbe potuto venir fuori nell’applicazione delle direttive regionali se vi fossero state 12 o addirittura a 25 Usl, come erano un tempo! Se sugli ospedali non vi è poi da intervenire più di tanto, salvo garantire adeguatamente le funzioni delle terapie intensive, occorre lavorare per intensificare i modelli di cure intermedie; nella sua ultima ordinanza, il presidente Rossi punta l’accento sulla individuazione di punti di cure intermedie che debbano funzionare anche in regime di normalità come strada di mezzo fra ospedalizzazione e ritorno a casa. Semmai, va ripensato il modello delle rsa, che sono strutture pubbliche facenti capo ai singoli Comuni: il prezzo pagato nelle due delle nostra provincia, in Valdarno, è stato elevato e bisognerà capire cosa non ha funzionato a livello di interventi e di controlli. Certa è una cosa: occorre riportare in queste strutture il personale medico-infermieristico e ripensato il ruolo del medico di medicina generale”.

In autunno si voterà anche in Toscana per il rinnovo del consiglio regionale. Da più parti si sostiene che sarà una tornata molto incerta e che non sia da escludere nemmeno un possibile ribaltone. Come si preannuncia allora la campagna elettorale?

“Penso che andrà a finire come in Emilia Romagna. La Toscana, in questa fase, ha evidenziato una classe politica e amministrativa all’altezza della situazione. La campagna elettorale non sarà basata quest’anno su un elenco di promesse, ma su ciò che abbiamo fatto nel quotidiano, sulle risposte che sapremo dare alle aziende e a chi è in difficoltà e sulla nostra capacità di mettere in campo provvedimenti”.

Cosa ci ha insegnato questo periodo di ristrettezze e sacrifici?

“Ognuno di noi tirerà le somme in base a quella che è stata l’esperienza personale. A me il Covid-19 ha mostrato una sorta di linea rossa fra la capacità o meno di interpretare i problemi e i bisogni della gente, senza far ricorso all’esperienza accumulata in precedenza, perché la pandemia è stata per noi un qualcosa di nuovo. Ci sono state allora persone che hanno lavorato bene e meno bene: di certo, l’emergenza non ha dato scampo a chi andava avanti a suon di chiacchiere, oppure di twit e o di comunicati. Per me personalmente, che ho lavorato molto in questo periodo, è stata una crescita in termini di conoscenza che soltanto un’esperienza del genere ti avrebbe potuto dare”. 

Redazione
© Riproduzione riservata
19/05/2020 09:04:52


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