Opinionisti Alessandro Ruzzi

Dalle mura d'una fortezza Bastiani (2°)

Occhi verso un nemico che arriva silenzioso, ma già lo sguardo vada oltre

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Il concetto di fondo è: supereremo questa crisi sanitaria. Ma stiamo a casa.

Non è facile affermare che le morti possono essere trattate come numeri, corollario della riflessione di politica economica che vado ad esporre.

Questi decessi riguardano persone e nuclei familiari, aggiungeranno difficoltà a difficoltà ed in tutti questi casi il supporto dovrà essere ancora più esteso, così come le opportunità che, quale società, dovremo fornire a quelle famiglie. Osservo distaccatamente queste vittime come numeri solo perché bisogna pensare ai vivi. Ciò non deve diminuire la mia vicinanza umana verso le persone colpite da questa tragedia o il ringraziamento a chi mette in pericolo sè (ed i suoi cari) nella sanità o nei servizi essenziali e misconosciuti. La cassiera di un supermarket vale almeno quanto il famoso professionista: anche lei lavora per un reddito, ma deve ricevere pure la nostra riconoscenza. Sopportano un carico di grande stress, grazie.

L'impatto sull'economia nazionale sarà tremendo.

Le scelte che andranno messe in pratica fra ora e i prossimi 6-12 mesi potrebbero richiedere modifiche statutarie al nostro paese e alla sua presenza in organismi sovranazionali. Quindi bisogna pensare a come muoversi, la mia considerazione dei governanti italiani mi fa tremare.

Fra i recenti episodi storici con similitudini all'attuale, mi sono concentrato sulla grande depressione che seguì il crollo di borsa del 1929 e sugli accadimenti in Germania dopo la 1ª guerra mondiale, gli anni della Repubblica di Weimar. Anche se l'ultima grande epidemia che colpì il mondo fu la spagnola nel 1918-20 coi suoi 30 milioni di vittime, questa comunque si inseriva in Europa nel periodo drammatico alla fine della prima guerra mondiale con complessità che avevano anche altre importanti cause: guerra, modesto livello d'igiene, povertà diffusa, strutture e metodi sanitari inadeguati ai numeri. Non paragono la crisi d'oggi ai conflitti ed ai dopoguerra del passato a causa delle restituzioni dei danni (o dei prestiti bellici) che creavano una frattura fra due nazioni (magari confinanti), una delle quali poteva poggiarsi su flussi risacitori provenienti dagli sconfitti.

Ma credo che nessuna delle due citate crisi possa fornirci indicazioni nuove da applicare alla realtà che vivremo quando l'aspetto sanitario sarà sceso ad un livello gestibile: esistono alcune differenze insanabili con quel mondo di allora.

Penso a: una economia attuale interconnessa basata sugli scambi internazionali, interconnesse sono le genti adesso, un profilo demografico che allora vedeva comunque la presenza significativa di generazioni di età inferiore ai diciott'anni, la capacità di sacrificio diversa da quella della odierna, il potenziale coinvolgimento dell'universo femminile che era lontano sino a quel momento dal mondo della "produzione" in senso ampio. Inoltre dal 1971 le valute nazionali sono completamente slegate dall'oro, e le principali banche centrali sono indipendenti dai desiderata della politica (dove non è accaduto -Argentina- si sono verificate crisi dei debiti sovrani tali da mettere in ginocchio intere nazioni), ma i contrasti continuano ad essere fortissimi (Trump contro Fed;  Salvini contro Bce).

Sicuramente non sono tutte le differenze, sono quelle che mi sono parse le più significative sinora, a cui si deve aggiungere il fatto che il nostro paese -facendo parte dell'area euro colla sua BCE- oggi non stampa cartamoneta.

Su Wikipedia, a "Effetti della Grande depressione negli Usa e nel Mondo" troverete: fame diffusa, povertà e disoccupazione; crisi economica a livello mondiale; sfiducia nel sistema capitalistico. Non tutte mutuabili al nostro domani, ma gli effetti potrebbero essere sovrapponibili. Invece che sfiducia nel capitalismo potremmo averne verso i governi e loro emanazioni o verso sistemi sanitari e welfare; non fame diffusa e povertà, magari una riduzione dello standard di vita (la mancanza di avocado scambiata per fame; non poter sostituire un tv color all'anno percepito come povertà).

Direi che adesso gli studiosi di economia individuano nelle scelte di politica economica espansionistica del presidente Roosevelt la migliore risposta a quella crisi negli Usa. Tant'è che ad ogni crisi degli ultimi decenni sono subito seguite affermazioni tipo "non faremo mancare liquidità; garantiamo piena liquidità", quasi il solo pronunciare il termine liquidità fosse un toccasana taumaturgico. E davvero il new deal pose le basi per la ripresa Usa.

Come ottenere, distribuire ed utilizzare detta "liquidità"? Ripartirò da qui.

Alessandro Ruzzi
© Riproduzione riservata
21/03/2020 10:22:40

Alessandro Ruzzi

Aretino doc, ha conseguito tre lauree universitarie in ambito economico-aziendale, con esperienza in decine di Paesi del mondo. Consulente direzionale e perito del Tribunale, attento osservatore del territorio aretino, ha cessato l'attività per motivi di salute, dedicandosi alla scrittura e lavorando gratuitamente per alcune testate giornalistiche nelle vesti di opinionista. alessandroruzzi@saturnonotizie.it


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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