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Cosa si nasconde (davvero) dietro il risultato in Emilia Romagna

Il voto disgiunto e il crollo 5S favoriscono Bonaccini

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Se l'Emilia Romagna fosse un campo di battaglia, non potremmo dire che il Partito Democratico ha vinto la guerra. La battaglia sì, certo. Ha respinto l’assalto al fortino e la città è ancora in piedi. Ma è colma di macerie.

Vanno compresi i facili entusiasmi di Zingaretti, per carità: rischiava di lasciarci le penne. Ma da qui a cantare vittoria ce ne passa.

Le liste del presidente

Il voto in Emilia, per quanto di valenza nazionale, resta comunque un'elezione regionale. Sulle amministrative giocano sempre fattori diversi rispetto a quelli delle politiche. E spesso i volti valgono più dei simboli di partito. In questo Bonaccini ha convinto più della Borgonzoni, soprattutto tra i morituri Cinque Stelle che si sono catapultati sulla figura del presidente uscente. Guardate le percentuali delle due liste dei candidati: il piddino vale il 5,77% (l'1% in più di tutto il Movimento di Grillo), mentre per la lista Borgonzoni hanno votato appena 37mila persone (1,73%). I 7,74 punti di distanza tra Bonaccini e la sfidante sono quasi tutti lì: nel voto disgiunto e nelle preferenze che diversi elettori hanno dato soltanto ai candidati presidente. Si tratta di 163mila voti (il 10%) finiti, in gran parte, alla sinistra. Molti di loro potrebbero essere renziani, che difficilmente avranno dato la preferenza al Pd.

Le insidie per il Pd

Il problema (per i dem) è che a livello nazionale queste dinamiche scompaiono. E Zingaretti non potrà contare più su una regione che, fino a ieri, garantiva un bacino di voti in grado di bilanciare il Veneto e la Lombardia (dove storicamente il centrodestra fa incetta di preferenze). In Emilia il Partito Democratico è sì il primo partito, ma rispetto alle precedenti elezioni regionali del 2014 - e questo nessuno al Nazareno vorrà sottolinearlo - ha perso il 10%. Il 10%: dal 44,53% di cinque anni fa è passato al 34,68%. Certo, ha riconquistato un paio di punti rispetto alle europee del 2019 (31,24%) e l'8,33% rispetto alle politiche del 2018. Ma in termini assoluti (quelli che contano alle tornate nazionali) resta intorno ai 700-800 mila voti di partito.

L'Emilia Romagna avrà ancora un governatore di sinistra, ma non è più rossa. La prima avvisaglia si era avuta alle politiche, poi alle europee. Ieri la conferma. Per un partito che la considerava la sua casa, sarà una grana non indifferente soprattutto in vista di una legge elettorale proporzionale dove i voti si peseranno su scala nazionale.

La debacle grillina favorisce Bonaccini

La vittoria di Bonaccini è infatti più il frutto della debacle grillina che un merito del Pd. Il M5S è passato dal 13,27% del 2014 (159mila voti) ad un misero 4,73% (101mila). Anche confrontandolo con le ultime europee (12,89%) e le politiche di due anni fa (27,54%) il giudizio resta invariato. Vero è che il Movimento alle amministrative va sempre meno bene che alle politiche. Ma Simone Benini stavolta ha preso meno voti (3,7%) di quelli del partito (4,7%): sintomo che molti grillini per contrastare Salvini hanno poi sotenuto Bonaccini. Non è un caso se il governatore uscente ha fatto di tutto per farsi piacere ai pentastellati: prima l’addio al simbolo e i manifesti elettorali, poi l'appello al voto disgiunto. Il giochino ha funzionato per la Regione, difficilmente varrà lo stesso ad eventuali prossime elezioni politiche. Qualche grillino tornerà a dare la preferenza a Di Maio e soci. È inevitabile.

I sovranisti si confermano in Emilia

Capitolo leghista. Salvini ha commesso forse un errore: centralizzare troppo il confronto su di sé. Ma il "Capitano" non si leccherà le ferite come lasciano immaginare entusiasti commentatori. Il Carroccio veniva dall'inciampo del "Papeete" e dal colpo di mano fallito al governo. Renzi per molto meno c'ha rimesso la carriera politica. E invece la Lega rispetto alle Europee ha lasciato per strada appena 73mila voti. Un dato non illuminante, certo. Su cui riflettere. Ma è probabile che quei elettori siano finiti nel calderone di Giorgia Meloni: Fratelli d’Italia passa dal 4,66% del 2019 all’8,60%, che in valori assoluti significano 79mila voti. Gli stessi che mancano a Salvini. A conti fatti, dunque, il fronte sovranista è nel pieno del vigore e vanta oltre 800mila preferenze. Le stesse dell'anno scorso.

C'è poi da considerare il fatto che la Lega, con l'alta affluenza, rispetto alle regionali di cinque anni fa ha conquistato quasi mezzo milione di voti: dai 233mila di Alan Fabbri ai 686mila di Lucia Borgonzoni. Molti più dell'incremento del Pd (da 535mila a 749mila). Un merito in gran parte di Salvini, un po' pure della candidata anche se non tutti (anche nella coalizione) sono apparsi convinti della sua nomination. Il centrodestra complessivamente vale oltre 1 milione di elettori, gli stessi del 2019 e più dei 838mila del 2018 (dati della Camera). Anche il centrosinistra è cresciuto (da 780mila a 1,1 milioni), ma gode del crollo pentastellato che dai 698mila voti del 2018 e 290mila del 2019 ne hanno raccolti appena 80mila. Il Movimento è trasversale, ma in Emilia i suoi adepti sono più di sinistra che di destra. Il dubbio è: se si votasse per il Parlamento, tutti i voti persi dai grillini in Italia andrebbero al Pd? Probabilmente no. E sarebbe un punto a favore della destra.

Il morale della favola lo si capisce osservando l'Emilia con uno sguardo all'intero Paese. Se è vero che ieri Salvini ha incassato una sconfitta locale, a livello nazionale può contare sul fatto che nella regione rossa per eccellenza i partiti di centrodestra (45,41%) sono quasi pari al centrosinistra (48,12%). Un vantaggio non da poco se Lega, FdI e FI riusciranno a conservare, con margini consistenti, i fortini verde-azzurri di Veneto e Lombardia. Stando al risultato delle europee, il vantaggio del centrodestra nella sola provincia di Verona colmerebbe il gap di tutta l'Emilia Romagna. E non è un dato secondario.

Notizia e foto tratte da Il Giornale
© Riproduzione riservata
28/01/2020 06:20:43


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