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Il fuggi fuggi della società civile dal Movimento 5 stelle

Non si ferma l'emorragia di parlamentari pentastellati

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In fondo, questa settimana, per i pentastellati è andata meno peggio del previsto. Dopo la raffica di uscite dei primi dieci giorni di gennaio, il MoVimento nell’ultima settimana parlamentare – nonostante siano state fissate un paio di sedute in più di quelle inizialmente previste – ha perso “solo” due ulteriori parlamentari: uno a Montecitorio, il siciliano Santi Cappellani, e uno a Palazzo Madama, il molisano Luigi Di Marzio, entrambi emigrati verso i rispettivi Gruppi Misti.

E fino a lunedì 20 alla Camera e a martedì 28 al Senato non sono previsti altri addii, se non altro perché non sono previste altre sedute d’aula. Ma se per Cappellani è successo come per tutti gli altri, con una comunicazione anonima del presidente di turno nell’aula di Montecitorio, il caso Di Marzio è una prima volta assoluta, perché l’uscita dal MoVimento viene accompagnato da un discorso lungo, articolato e di cuore in aula, quasi un manifesto programmatico del grillino che ci aveva creduto ed ora è deluso.

Per di più, tutto questo avviene in Senato, dove – a differenza di ciò che accade a Montecitorio – le uscite e i cambi di gruppo non sono annunciati in aula, ma vengono solo pubblicati sull’”Allegato B” delle sedute, annunciato con una formula di rito dal presidente di turno in aula: “Ulteriori comunicazioni sono pubblicate sull’allegato B”.

Insomma, il discorso di Di Marzio è probabilmente un punto di non ritorno, un’esclusiva assoluta, un nuovo capitolo di questa storia parlamentare. Tanto che varrà la pena di leggerlo integralmente nel proporre questa storia. Ma prima facciamo un’analisi di chi esce dal MoVimento in questo periodo. Chiaramente, come sempre e come è connaturato ai pentastellati, c’è un po’ di tutto, da chi ha la licenza media e non indica la professione ai cattedratici.

Ma, in particolare, molte delle uscite riguardano gli esponenti della società civile, soprattutto al Sud, che Luigi Di Maio aveva voluto nelle liste e nei collegi uninominali come fiori all’occhiello della scorsa campagna elettorale e che avevano fatto il pieno in tutti i collegi.

In quel caso la strategia del “Capo politico” aveva un preciso scopo, anzi due: da un lato riempire le liste di volti presentabili e capaci di attrarre voti anche di mondi estranei all’elettorato storico del MoVimento, dall’altro proprio riempire proprio numericamente le liste, elaborando la rappresentanza rispetto al mondo dei Meet-up. Per i collegi uninominali vennero infatti cambiati anche i parametri delle Parlamentarie e così arrivarono nelle Camere anche molti esponenti della società civile.

Ed è interessante vedere fra transfughi, fuorusciti ed espulsi che fine hanno fatto: noti sono i casi dell’ufficiale della Capitaneria di Porto Gregorio De Falco e del giornalista Gianluigi Paragone; poi – rispetto alle liste elettorali - sono usciti o mai entrati nei gruppi parlamentari del MoVimento, fra gli altri: due biologhe, Elena Fattori al Senato e Silvia Benedetti alla Camera; e poi a Palazzo Madama: un professore universitario a contratto di matematica, Carlo Martelli; un architetto, Paola Nugnes; un ingegnere, Stefano Lucidi; un’insegnante e avvocato, Gelsomina Vono, eletta nell’uninominale a Catanzaro e passata con Renzi; il geologo e professore universitario ordinario, massimo studioso della Terra dei Fuochi Franco Ortolani, eletto nel collegio uninominale napoletano di San Carlo all’Arena, prematuramente scomparso, per cui si faranno le suppletive;  il professore ordinario di diritto civile Ugo Grassi, che insegna a Napoli Parthenope ed è stato eletto nel collegio uninominale di Avellino, giurista doc ora passato alla Lega, esattamente come l’altro giurista Francesco Urraro, presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati di Nola eletto nel collegio di Portici. 

E anche alla Camera, fra gli altri, se ne sono andati da poco Nunzio Angiola, eletto nel collegio uninominale pugliese di Altamura, e ordinario di economia aziendale in università, esattamente come l’ex ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Lorenzo Fioramonti, eletto nel collegio uninominale Roma 5 di Torre Angela e professore ordinario di politica economica. Vanta un curriculum universitario, con un dottorato di ricerca, anche un altro recente fuoruscito, Gianluca Rospi, ingegnere edile, così come Gloria Vizzini, che ha un curriculum fatto di lettere classiche e di una laurea in filologia greca e latina. E anche uno dei primi fuorusciti della legislatura, Matteo Dall’Osso, andato in Forza Italia, è ingegnere elettronico e l’ha anche ricordato un giorno durante un intervento in aula con parole che suonavano pressappoco così rivolte agli ex compagni di gruppo: “Quando si parla di queste cose, avete solo da imparare da me…”.

Insomma, sta succedendo una cosa molto simile a ciò che capitò alla Lega nel 1994: restarono con Bossi gli ultras e se ne andarono i più tiepidi, entrati nelle liste come rappresentanti della società civile. Le elezioni successive raccontarono che gli elettori stavano con i duri e puri. Insomma, all’interno di questa storia, il caso del senatore Luigi Di Marzio è paradigmatico.

L’altro giorno Di Marzio – in quel momento ancora senatore del gruppo del MoVimento Cinque Stelle - ha chiesto di intervenire in aula “per fatto personale”, non sull’ordine dei lavori, non per un richiamo al regolamento, ma “per fatto personale”, come quando si viene offesi nella propria persona e nella propria storia. Fra l’altro, il senatore di Marzio, attivissimo in commissione Sanità è anche lui docente universitario e medico, eletto nel collegio uninominale molisano di Campobasso, ma parla il minimo possibile in aula: come relatore di una legge, un’altra volta sui problemi dell’autismo e, per l’appunto, quando ha chiesto la parola alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati per fatto personale l’altro giorno, con un intervento che vale la pena di leggere integralmente.

Proprio perché Di Marzio è quello venuto allo scoperto più di tutti. “Signor Presidente, signori colleghi – ha esordito - chi parla, solo per disciplina, ha contribuito con il proprio voto all'approvazione della legge di riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, pur condividendo non soltanto le perplessità al riguardo manifestate da studiosi della materia, ma anche le critiche di quanti hanno argomentato che l'obiettivo del risparmio, invocato a sua giustificazione, avrebbe potuto ottenersi con procedura incomparabilmente più snella e senza dover incidere sul dettato costituzionale, operando cioè una semplice decurtazione degli emolumenti dei parlamentari, ma mantenendone invariato il numero, piuttosto che dimezzarlo a retribuzione invariata.

Così facendo, sarebbe stata scongiurata ogni conseguente diatriba, ampiamente prevedibile, circa un possibile vulnus arrecato agli equilibri sanciti dalla Costituzione e si sarebbe non soltanto realizzato quell'obiettivo di contrasto strutturale agli asseriti privilegi della casta, storica battaglia identitaria della parte politica cui appartengo, ma si sarebbe anche posto fine alle cicliche polemiche concernenti le cosiddette restituzioni effettuate dai portavoce del Movimento che, del tutto casualmente, nelle ultime settimane hanno visto anche me infondatamente additato, contrariamente al vero, quale responsabile di non aver effettuato alcun versamento da oltre un anno”.

A questo punto, Di Marzio ha iniziato anche con una serie di azzeccate espressioni latine, spiegando il motivo della sua firma al referendum sul numero dei parlamentari. “Dunque – ha continuato il senatore ormai ex pentastellato - in qualità di senatore della Repubblica, che reputa il dovere di rappresentanza dell'intera Nazione e non soltanto di una parte politica, non mero flatus vocis, ma ineludibile responsabilità etica, ho ritenuto che non mi fosse consentito sottrarmi, per viltà e quieto vivere, all'obbligo di lasciare la parola definitiva ai cittadini elettori, affinché a essi fosse riconosciuto il diritto di partecipare a una scelta di rilevanza tale che, se non vagliata con la più ampia ponderazione possibile, graverebbe soltanto, qualora dovesse malauguratamente rivelarsi improvvida, su chi si fosse arrogato la potestà di decidere in nome dell'intera collettività, mentre dichiarava di essere mero portavoce di essa.

L'antinomia degli obiettivi attuali, inoltre, rispetto a quelli perseguiti da altri in anni neppure troppo lontani, pur apparendo indubitabile, non è tuttavia sufficiente a esorcizzare del tutto il timore in quanti, come me, non riescono a cancellare dalla memoria il fatto che ciò che sta accadendo possa - certo senza volerlo - favorire i disegni di chi progetti non dissimili abbia già propugnato in passato nell'ambito di oscuri piani di rinascita democratica, ovvero di trasformazione in senso presidenziale dell'assetto istituzionale.

Queste sono, in estrema sintesi, le ragioni che mi hanno persuaso dal non potermi esimere dall'apporre anche la mia firma alla richiesta di referendum confermativo e, dunque, indipendentemente da ogni soggettiva presunzione di certezza circa l'esito di tale consultazione, di dover sottoporre decisioni di tale portata a un vaglio da parte del popolo sovrano, essendo per formazione purtroppo incapace, a differenza di molti, di reputarmi depositario di verità indubitabili. Sorprendentemente questo gesto, improntato al più rigoroso rispetto per la democrazia sostanziale, si è trasformato in motivo di stigma e non soltanto da parte di quella frazione dell'opinione pubblica attiva sui social media, che non ha avuto ritegno nel demonizzare così gli strumenti della democrazia diretta, mentre assumeva di uniformarsi ai suoi principi”. Su su fino al passaggio finale, equiparabile a quello con cui il senatore Lucidi spiegò il suo voto contro il MES: “Non sono un criceto, esco dalla ruota e voto no”.

“Avverso simili censure – ha concluso Di Marzio - con involontaria eloquenza, non si è registrata alcuna presa di posizione ufficiale in difesa di un essenziale principio democratico cui si era, altrimenti, costantemente inneggiato, lasciando così che venissi additato quale eretico, ovvero, meno eufemisticamente, traditore. Mentre quell'indifferenza si sarebbe potuta ascrivere all'irrilevanza dell'accaduto, non può invece risultare accettabile, per quanto mi riguarda, il silenzio che ha accolto giudizi con cui, lungi dal rispettare principi fondanti, è stata invece esplicitamente stigmatizzata, pur se in forma impersonale, la scelta da me compiuta.

Ho assistito al ricorso, anziché ad argomenti di merito, a triti luoghi comuni e a strategie di ammonizione e colpevolizzazione mediante argumenta ad baculum, gli argomenti del bastone, del tipo: chi compie queste scelte sarebbe animato dall'interesse a innescare una crisi di Governo per andare a elezioni anticipate; si assumerebbe la responsabilità di accollare alla collettività il costo di un referendum inutile, perché di esito scontato; ovvero con argumenta ad hominem, argomenti della denigrazione personale, del tipo: chi compie certe scelte sarebbe animato da narcisistici desideri di un'ora di notorietà; da intenti ricattatori, per ritrattare, a fronte di contropartite; da meschina volontà di rivalsa per il mancato riconoscimento di meriti presunti; dall'obiettivo di garantirsi prospettive di accesso a future prebende, altrimenti utopiche.

Dunque, di fronte a un'epurazione di fatto, della quale non posso che dover prendere atto, ancorché con il rammarico di separarmi da colleghi integerrimi, per fugare qualsiasi dubbio in merito, formalizzo in questa sede la mia decisione di aderire al Gruppo Misto, formazione certamente inidonea a favorire qualsivoglia eventuale desiderio - quanto mai improbabile, con un avvenire, per età, ormai soltanto dietro le spalle - della reiterazione di un'esperienza rivelatasi finora deludente, anche a causa del sostanziale disinteresse ad accogliere qualsivoglia contributo ulteriore rispetto a quello di dover pigiare pulsanti”. L’hanno applaudito i senatori della Lega e di Forza Italia.

Notizia e Foto tratte da Tiscali
© Riproduzione riservata
19/01/2020 13:38:44


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