Sestino al tempo della Schoa
Ricordi che raffiorano alla memoria
Sembrava che l’antisemitismo e il razzismo fossero ormai storia passata. Ma ci stiamo accorgendo che sono ancor vivi e pericolosi. In questo contesto è riaffiorata alla memoria la vicenda di un ebreo ungherese riparatosi a Sestino e di due sorelle che- nel silenzio operoso – gli hanno salvato la vita.
Sestino aveva già visto l’arrivo di “forestieri” dal Sud e dal centro Italia, come da zone liguri, per fuggire - pensavano – dagli scontri tra eserciti alleati e le truppe nazifasciste. Daria e Margherita Casadei erano due sorelle: gente comune istruzione minima, figlie di un imprenditore edile, che lavorò anche alla costruzione della prima “strada rotabile” Sestino-Marche e poi nell’Africa dell’impero italiano.
Giorgio Matrai era un giovane nato vicino a Budapest nel 1913 ma dovette fuggire dalla patria - senza completare gli studi - all’arrivo di Hitler e del Nazismo. Riparò momentaneamente a Padova, dove completò gli studi universitari, aiutato in tutto dai coetanei studenti. Poi traslocò a Rimini , operando – successivamente - come chirurgo e in più attività anche a Viserbella.
Quando con le leggi razziali anche in Italia si avviò la caccia agli Ebrei, il giovane Matrai giunse a Sestino portato da Augusto Teobaldelli, che lo affidò alle parenti Daria e Margherita, che lo accolsero e lo nascosero per mesi.
Era pericoloso ma evidentemente le due sorelle non pensarono a ciò. Sestino - come tutta l’Italia – era fortemente fascistizzato: dalla scuola dei grembiulini neri, alle adunate fasciste, agli esercizi premilitari, alla cittadinanza onoraria- obbligatoria - per Benito Mussolini, stando ad appunti - imprecisi - presenti nell’Archivio storico comunale e all’intitolazione della strada principale del paese - già Via Fiorentina – nel nome di Roma.
Davanti alla abitazione Casadei passava proprio la via principale, il federale abitava ad un numero civico quasi dirimpetto, un prato ricavato nell’ansa del sottostante fiume Foglia era il luogo dove gli alunni delle scuole facevano periodicamente gli “esercizi ginnici”, secondo il costume “patriottico”.Tenere il giovane Matrai in salotto/camera era davvero pericoloso, per cui Daria e Margherita allestirono uno spazio in soffitta. Ma non era un “confinato”. “Le due sorelle lo accudivano quotidianamente - ricorda Paola Elli, amica delle due sorelle – il pranzetto giornaliero era uguale per tutti, il caffè era spesso consumato insieme”. “Per meglio nasconderlo – racconta ancora Paola Elli - veniva vestito da donna, una vestaglia femminile era il soprabito quotidiano: così, se qualcuno lo avesse visto, Daria e Margherita avrebbero potuto dire che era una loro amica venuta a trovarle”.
Quando era possibile, venivano a Sestino la fidanzata e qualche famigliare di Giorgio Matrai e tutti si stringevano nel quartierino delle Casadei.
Un nipote, Mirko Teobaldelli, ricorda che Matrai- di notte –“ scendeva nella legnaia, un locale non raggiungibile dalla strada principale, e faceva qualche passo all’aria aperta”.Il buio era complice. E le stelle gli facevano compagnia: “perché Matrai era uno studioso e un poeta e le sue giornate a Sestino le passava studiando e scrivendo poesie”.
Nessuno si accorse di ciò, di un “ebreo rifugiato “ a Sestino. Le due sorelle erano molto riservate in tutto e fecero una straordinaria operazione di “accoglienza e protezione”, senza che se ne vantassero mai. Anche passata la guerra, esse non fecero memoria del loro operato, che si è saputo per sommi capi solo al termine del conflitto mondiale, quando in estate a loro volta venivano ospitate al mare a Viserbella, nella villetta “La Bomba”, della famiglia Matrai. E qui portavano una famiglia di Sestino, nel frattempo ospitata in un quartierino della loro casa, con una discrezione che nessuno ha voluto forzare. Neanche i più diretti discendenti, come il cugino Mirko, ha saputo particolari, né esistono documenti di sorta. Ma la memoria – non conclamata – è rimasta nella coscienza di alcuni che ebbero la ventura di praticare Daria e Margherita.
Ciò nulla toglie- comunque – alla bellezza del loro operato, al coraggio di andare controcorrente in giorni difficili. Anzi rafforza il loro gratuito impegno. Forse, accanto alla lapide che, nel loggiato del palazzo comunale, ricorda le “inique sanzioni”, merita fare testimonianza di queste sorelle, protagoniste della Schoa a Sestino.
(Giancarlo Renzi)
Commenta per primo.