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“Il ponte Morandi forse crollato per il cedimento di un cassone”

Uno degli indagati per i falsi report sulla struttura: “L’acqua infiltrata ha corroso i cavi”

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Almeno da sei anni la “pancia” del viadotto Polcevera - i cosiddetti cassoni, scatole di cemento cave costruite sotto al piano strada - era inaccessibile, cosa che impediva di valutare se i cavi fossero corrosi. Ma a creare inquietudine tra i massimi vertici di Spea Engineering, la società incaricata del monitoraggio (e controllata) da Autostrade per l’Italia, non è solo il buio totale provocato dall’assenza di controlli. Il timore dell’ex responsabile della sorveglianza Carlo Casini, è addirittura che il «cedimento del cassone dovuto al percolamento dell’acqua, che avrebbe corroso i cavi interni» possa essere stato la causa del crollo del Ponte Morandi: «Può essere successo che, a un certo punto, il cassone comprimeva e ad un certo punto è mollato!».

Sono già passati mesi dal disastro che ha provocato la morte di 43 persone. Un’ispezione della Guardia di Finanza ha portato alla luce rifiuti e stalattiti, particolari che stridono all’interno di strutture che avrebbero dovuto essere ipercontrollate. È il 25 gennaio quando gli inquirenti intercettano una conversazione tra Carlo Casini, responsabile dell’ufficio sorveglianza Spea di Genova fra il 2009 e il 2015, e Marco Vezil, alto dirigente della società: «O che il cassone ha mollato, perché metti che le campane... - dice Casini - metti la sfiga che sulle campane ci percolava dell'acqua che entra in soletta, te l’hanno corroso, vum (rumore onomatopeico con cui Casini simula il crollo del ponte, ndr) ha mollato subito, mollando subito è venuto giù la... perché certo che se effettivamente lo strallo…». L’ipotesi preoccupa Vezil, ben «consapevole» secondo chi indaga, che le mancate ispezioni, potenzialmente, mettono chi lavorava per Spea nei guai: «Però lì siamo deboli perché non andavano nel cassone».

Nessuno controllava, ma nonostante ciò, le valutazioni sulla sicurezza venivano compilate ugualmente, come se le ispezioni fossero state eseguite. E questa ricostruzione - che per la Procura coinvolge anche Autostrade, che «di fatto controllava Spea» e tramite alcuni dirigenti «decideva le soluzioni da adottare» - costituisce il nucleo delle accuse di falso. Lo snodo fondamentale è nel 2013, quando una nuova norma stabilisce che per entrare nei cassoni occorrono nuove misure di sicurezza e corsi ad hoc per il personale. Con gli strumenti in dotazione, riassume un tecnico Spea, per effettuare quelle ispezioni ci sarebbe voluto «l’Uomo Ragno».

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
13/11/2019 14:28:08


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