In Spagna trionfa l’estrema destra, Sanchez vince ancora ma senza maggioranza
Il leader socialista dovrà scendere a patti con Podemos per governare
La Spagna è tornata a votare per ritrovarsi come prima. Anzi, più frammentata e divisa, con una estrema destra che nessuno ormai può permettersi di trascurare. Vox è l'unico partito a festeggiare nella notte di Madrid, Marine Le Pen e Matteo Salvini si uniscono al brindisi. Pedro Sanchez (nella foto), pur perdendo tre deputati, vince le elezioni che tanto ha voluto, ma nella sede del Psoe nella calle Ferraz di Madrid la festa non è autentica, troppe le incognite dietro l'angolo, troppi i calcoli da fare per riuscire nell'impresa di governare. Un esecutivo si può fare, i numeri ci sono, ma la matematica si è già scontrata nel recente passato con barriere insormontabili e con l'incapacità collettiva di scendere a patti. Così, in questa ennesima notte elettorale, la Spagna torna a rivivere le vertigini dell'instabilità, con un fantasma che ormai nessuno sente di escludere: tornare ancora una volta al voto. Poco prima della mezzanotte il premier sale su un palco improvvisato e non scioglie nessuna incognita: «Faccio appello a tutti i partiti, serve generosità». E finisce per promettere: «Stavolta riusciremo a fare un governo, sì o sì». Come però non si sa. Di grande coalizione? Progressista? Mistero.
Proprio come sei mesi fa, la nascita di un esecutivo passa da un accordo del Psoe con Podemos, con l'astensione degli indipendentisti catalani e la collaborazione dei nazionalisti baschi. I negoziati non partono sotto i migliori auspici: Pablo Iglesias ha inviato un messaggio a Sanchez, senza ottenere risposta.
L'alternativa, un appoggio del Partito Popolare, viene esclusa con nettezza dagli interessati, almeno che Sanchez non faccia un clamoroso passo indietro. Così vanno lette le parole del leader del Pp Pablo Casado: «Aspettiamo le mosse di Sanchez».
Alle trattative sicuramente non parteciperà Vox. Il partito dell'estrema destra sale prepotentemente, raddoppia i seggi ed è la terza forza spagnola. I post franchisti, confinati nell'ultima fila del parlamento, ora saranno molto più visibili, con 52 deputati (erano 26) e una presenza ormai radicata in molte zone del Paese (nella regione di Murcia sono il primo partito, in Andalusia sfiorato il sorpasso al Pp). Escono rafforzati anche i popolari di Pablo Casado, che resuscita un partito finito negli abissi solo sei mesi fa, con la pericolosa concorrenza di Vox.
Il grande sconfitto è Ciudadanos, il movimento centrista che il leader Albert Rivera ha spostato a destra, crolla all'8%, conservando solo una decina di seggi, dei 57 ottenuti in primavera. Così il partito che avrebbe potuto governare con i socialisti solo qualche settimana fa, con la benedizione dell'alleato Macron, ora è praticamente scomparso.
A sinistra le cose non cambiano molto: Podemos perde deputati, ma non crolla, resistendo alla scissione guidata dall'ex fondatore Íñigo Errejon (Mas Pais). In Catalogna, con la tensione al massimo dopo le condanne ai leader indipendentisti, le forze secessioniste aumentano la propria presenza a Madrid, con l'ingresso dell'ultrasinistra della Cup. L'ala più dialogante, Esquerra Republicana, potrebbe avere in mano le chiavi della governabilità, un paradosso per un partito il cui leader, Oriol Junqueras, è in carcere, condannato a 13 anni per sedizione.
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