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Maurizio Bragagni: un italiano a Londra tra economia e politica

"Un imprenditore non può esistere senza un’idea e deve mettere quell’idea in gioco"

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Il dottor Bragagni é un amico di lunga data, un affermato imprenditore italo-britannico, amministratore delegato di Tratos UK Ltd e da molti anni collabora con la nostra testata giornalistica. Oggi abbiamo deciso di fare una chiacchierata con lui, dato che è venuto a trovarci nella nuova sede dell’agenzia Saturno Comunicazione a Sansepolcro.

        Cosa rappresenta per lei Tratos e qual è il suo ruolo all’interno?

“Tratos per me rappresenta la famiglia. Sono stato educato e cresciuto fin da piccolo dove la domenica ci si ritrovava attorno ad un tavolo e Tratos era l’argomento principale. Mio padre è entrato in Tratos nel 1989 ed è andato a lavorare a Catania nell’unico stabilimento che all’epoca avevamo fuori dalla Toscana. Per me quindi Tratos, dall’infanzia in poi, è continuata ad essere non solo elemento di lavoro di mio padre e di orgoglio perché ci lavorava, ma anche la famiglia; oggi, poi, continua a rappresentare una fonte di orgoglio perché ci lavoro e contribuisco ad una storia che è iniziata nel ’66 dall’ingegner Capaccini, continuata con mio zio Albano e oggi prosegue con i miei cugini. Come dico sempre, io sono un semplice ‘vignaiolo nella vigna del signore’. Il mio ruolo è quello di responsabile dello stabilimento inglese che nasce nel 1981 e del settore dei cavi speciali, incarichi che ricopro dal 2002, che è quello che per primo ha contribuito a dare all’azienda una visibilità mondiale. Vendendo cavi in tutti i porti del mondo mi ha consentito di viaggiare ovunque”.

·        Come è cambiata la sua vita da quando frequenta l’Inghilterra?

“Più che altro come è cambiata la mia vita da quando frequento il mondo. La mia vita è cambiata in maniera radicale. Io mi sono laureato in giurisprudenza perché non c’era l’inglese, tante vero che volevo fare l’avvocato o il giudice; non avevo mai contemplato di andare all’estero, viverci e di viaggiare. Né tantomeno di parlare inglese. Tutto cambia nel 1995, a dicembre, nell’incontro con monsignor Giussani e da quel giorno lì muta anche il mio approccio alla vita. Accetto tutto come una sfida e come un’opportunità; quando nel 2000 mio zio Albano mi chiese di andare in Inghilterra dissi di sì. Era un sì perché era la cosa più impensabile e la più grande sfida che avevo ricevuto: andavo in Inghilterra senza l’inglese, per una cosa che nulla c’entrava con quello che avevo studiato e di cui ero appassionatissimo che era la giurisprudenza. Io comunque mi ero laureato con il massimo dei voti all’università di Pisa ed il mio professore mi chiese anche di rimanere a fare il dottorato di ricerca, quindi di rimanere nella carriera universitaria e forse sarei stato anche un grande professore, un grande avvocato ed un grande giudice. Nella sfida che mi fu data io ripartivo da zero: tutto quello che avevo fatto fino a quel momento veniva azzerato, avendo la conoscenza di un laureato però con un linguaggio pari ad un ragazzino di quarta elementare. Per un anno ho lavorato in fabbrica come magazziniere per capire il lavoro e poi per mantenermi, mentre la mattina andavo a scuola d’inglese. Non nego che ogni tanto mi veniva anche lo sconforto: in Italia ero dottore in legge, mentre mi sono ritrovato lì a 300 sterline a settimana a sbobinare i cavi, invece di guadagnarle all’ora. È stata pur sempre un’esperienza bella che mi ha aiutato molto a capire l’importanza di qualunque tipo di lavoro. Da lì mi è stato dato l’incarico dei cavi speciali che avevamo da poco iniziato a sviluppare, portandomi a viaggiare in tutto il mondo con un grande maestro che zio mi ha messo accanto come il dottor Notti, direttore esportazioni di Siemens, e l’ingegner Gobbi che era l’ex responsabile di Pirelli. Ancora oggi giro il mondo, girando i porti per poter vendere questi cavi che hanno una particolarità: sono in movimento e non si fermano mai. Un cavo che è stato anche una sfida poiché lo abbiamo dovuto reinventare e rigenerare in virtù dell’aumento dei tempi di spostamento. Nasce, quindi, il nome che è diventato il più famoso della nostra produzione: Tratos Flex che è un insieme di conoscenza di tantissime persone. I cento porti più importanti porti al mondo sono forniti da cavi Tratos. La mia vita, quindi, è cambiata con il contatto del mondo: viaggio quasi 200 giorni l’anno, incontrando culture e realtà a tutti i livelli. L’Inghilterra è poi diventata una piattaforma di cui io ho avuto la necessità per essere educato, perché era sempre più chiaro che avevo bisogno del linguaggio, per esprimere quello che vedevo nel mondo. Serviva un inglese che desse sicurezza e consistenza a quello che doveva essere ed è il marchio Tratos”.

·        Quali sono i rapporti della famiglia Bragagni e di Tratos con la Casa Reale?

“L’attuale Re Carlo e la Regina Camilla ho avuto il piacere di incontrarli, insieme a mia moglie, nel 2017 durante il centenario del British Istitute Florence così come quando gli è stato consegnato il giglio fiorentino. Re Carlo anche in diverse altre occasioni, tra cui il funerale della madre. Ci sono dei bellissimi rapporti, molti epistolari dovuti alla mia funzione: io ho una cosa tipo 24 lettere di corrispondenza tra me e la Regina e adesso è proseguita con Re Carlo. È un rapporto di rispetto per il ruolo delle istituzioni. Io sono ufficiale del British Empire con il grado di ufficiale e l’ho ricevuto in una maniera molto unica: a gennaio del 2023 ricevetti comunicazione che dovevo recarmi alla Maron house che è la residenza del Lord della City, seconda carica dopo il Re, e fu lui stesso – su richiesta della defunta Regina – a consegnarmela; mai era accaduto in 700 di storia, normalmente viene delegato un funzionario. C’è quindi un legame stretto: oggi possiamo dire di essere parte della società britannica, rimanendo pur sempre italiani”.

·        Cosa c’è nella vita di Maurizio Bragagni oltre a Tratos?

“Quattro figlie e una moglie che sono poi la colonna. C’è sicuramente la mia storia dentro ‘Comunione e Liberazione’ che mi accompagna dal 1995 e mi ha consentito di aprirmi al mondo e di giocare questa partita a golf con me stesso. Questo mi ha portato a studiare e ristudiare l’inglese, poi alla nomina di professore di leadership alla Bolton University, a professore di management dell’università Bayes Business School; da lì la passione per cercare di non dare per scontato nulla e cercare di dire la mia fino al punto di essermi candidato nel 2018 al Senato della Repubblica, di aver perso in un momento in cui credevo era necessario combattere per impedire che certi gruppi non andassero al potere. C’è poi la Fondazione Esharelife, quindi condividere la vita nel mondo digitale, che sono le parole del senso religioso di don Giussani (convivenza e condivisione del senso religioso): obiettivo raccogliere fondi per le scuole in Kenya e abbiamo più 3600 bambini, il 70% sono femmine mentre il 67% sono musulmani che li aiutiamo ed educhiamo per venir via dalla miseria. L’educazione è l’unica forma con cui uno può combattere la povertà. E poi c’è dal 2019 il Consolato della Repubblica di San Marino, attività che mi ha consentito e mi consente sempre più legami stringenti con quello che è il mondo istituzionale inglese”.

·        Come è maturata la collaborazione tra Maurizio Bragagni e la Repubblica di San Marino?

“Nasce per una conoscenza. Durante la mia campagna elettorale del 2018 mi trovo a viaggiare molto in Europa per presentarmi, fino ad arrivare anche a San Marino. Lì ho incontrato il segretario di Stato che mi offrì il ruolo appena terminate le elezioni per aiutare la Repubblica a strutturarsi. L’anno scorso siamo riusciti a firmare l’accordo per evitare la doppia tassazione tra il Regno d’Inghilterra e la Repubblica di San Marino: accordo fondamentale per la questione economica tra i due Paesi, avvenuto prima ancora dell’accordo di San Marino con l’Europa. Questo è un passaggio in cui dal 2019 fino al 2023 ho lavorato per aiutare i Paesi a conoscersi e frequentarsi; non è una cosa così semplice, in particolare per una realtà importante come l’Inghilterra”.

·        La giornata tipo di Maurizio Bragagni?

“Non esiste. Esistono le settimane tipo. Facendo molte cose cerco di organizzare più possibile il mio anno fatto di eventi importanti, in funzione di quello che è il mio lavoro. So per esempio che entro il 31 marzo devo presentare il bilancio per consentire poi al gruppo di presentare il bilancio consolidato, che a giugno sarò TOC a Rotterdam, la fiera importante per il settore portuale, che ad ottobre mi attende Singapore. Ho quindi le settimane tipo, questo vuol dire che ho la settimana in cui il lunedì inizia tutte le mattine alle 5 perché devo parlare con la Cina per capire le esigenze di mercato e finisco alle 2 della mattina perché devo parlare con gli Stati Uniti dall’altra parte del mondo; ci sono le settimane dei viaggi in cui mi sposto nel mondo dove parto da Dubai per andare in India e arrivare a Singapore, oppure l’altra settimana in cui faccio l’altro versante del mondo. Le settimane in cui devo girare l’Europa e poi ci sono quelle in cui sono a Londra dove inizio sempre presto la mattina, verso le 7: colazioni, pranzi e cene che sono poi incontri di lavoro con clienti o figure istituzionali e politiche. Al tempo stesso rispondo alle mail, continuo a fare le offerte e presentare i prodotti. Esiste quindi una programmazione annuale perché altrimenti non riuscirei a fare tutto e neppure a ottenere quei risultati che comunque ci sono, sia economici che aziendali. Incontro durante l’anno una cosa come 800 persone con cui ci scambiamo i biglietti da visita”.    

·        Cosa ne pensa del Governo Meloni in Italia?

“Lei è la presidente dei conservatori europei e noi come conservatori britannici gli abbiamo lasciato il posto. Ho avuto il privilegio di conoscerla quando era all’opposizione, subito dopo le elezioni del 2018 fui ricevuto nel suo studio privato a Roma. La stimo, sia come primo ministro che come persona. Se mi fosse permesso come professore di una università finanziaria dico che serve più chiarezza sul sostegno alla prospettiva economica alle imprese. Abbiamo di fronte una rivoluzione importante come quella energetica e digitale, l’Italia come tutti i Paesi europei che hanno sviluppato le loro infrastrutture nel ‘900, le hanno obsolete e devono essere aggiornate. L’Italia ha una forte debolezza perché non paga il giusto a quelli che sono i suoi meriti, la gente quindi tende ad andare via: Paesi come l’Inghilterra ne approfittano perché pagando un po’ di più lo stipendio, comprano poi un investimento. La persona è un investimento della cultura. Non c’è una politica di sostegno alla ricchezza, un Paese che non celebra il merito è un Paese basato sull’invidia e che non avrà lunga vita: noi qua a Sansepolcro abbiamo l’esempio di San Francesco. Io mi aspetto che un Governo come quello di Giorgia Meloni metta in pratica la celebrazione del merito per farlo vuol dire anche consentire a chi guadagna di goderselo senza avere paura, quindi ridurre le posizioni fiscali”.

·        Ha mai pensato di tornare in Italia e seguire le orme politiche di suo zio, magari diventando sindaco di Pieve Santo Stefano oppure di Sansepolcro dove abita con la famiglia?

“Noi siamo come la famiglia Fanfani, uno alla volta in politica. Ho fatto la mia strada dove sono stato chiamato, in Inghilterra; mio zio è diventato sindaco di Pieve Santo Stefano, io sono diventato Console della Repubblica di San Marino. Lui andava a braccetto con il Presidente Fanfani e io sono andato con Boris Johnson o Teresa May. Credo che per poter fare il sindaco di Pieve Santo Stefano o di Sansepolcro serva una località e una frequenza che io non ho; secondo me le persone più adatte per fare questo, nella mia famiglia, sarebbero mia cugina Elisabetta o mio cugino Daniele”.  

·        Nonostante Lei è un uomo molto impegnato, c’è ancora qualche sogno nel cassetto sia a livello professionale che personale, che le piacerebbe realizzare?

“Mi piacerebbe poter impegnarmi su un progetto di sostegno a livello europeo. Sono stato contento della nomina da parte della Repubblica di San Marino a Governatore della banca europea per lo sviluppo economico per la ricostruzione dell’Ucraina. Questa cosa di diventare banchiere a 50 anni mi ha fatto piacere. Aiutare le parti a parlarsi e a raggiungere degli accordi per il bene di tutti mi è sempre piaciuto, ottenendo dei risultati, e a questo punto mi piacerebbe un ruolo ancora più diplomatico accrescendo la mia esperienza”.

·        C’è un consiglio che vorrebbe dare ad un giovane che oggi vuole diventare imprenditore?

“Nil difficile volenti. Il motto della mia famiglia. Nulla è difficile a colui che lo vuole, colui che si mette in gioco e accetta la sfida. La prima cosa è avere un’idea, difenderla, diventarne ossessionato e poi metterla in pratica; vuole dire rischiare il giudizio e spesso in questo cammino si è molto soli. Ma è solo un sembrare di essere soli. Mio zio Albano, infatti, quando parla del successo cita sempre del rapporto con sua moglie Marta e dice ‘ho fatto quello che ho fatto perché ho avuto la fiducia di mia moglie’. Un imprenditore non può esistere senza un’idea, senza il coraggio di poter mettere quell’idea in gioco, non esiste se non è un sognatore e se non ha una visione del futuro. Ma in particolare non esiste se non ha un rapporto concreto con qualcuno che lo sostiene”. 

Davide Gambacci

Redazione
© Riproduzione riservata
02/03/2024 07:35:53


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