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Crisi climatica: nove adolescenti su dieci la temono

L’indagine é stata condotta dalla Community Valore Acqua per l’Italia

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È quanto emerge da un’analisi condotta su 5.000 studenti e studentesse delle scuole superiori d’Italia dalla Community Valore Acqua per l’Italia, un consorzio creato dal think thank privato The European House – Ambrosetti (Teha), formato da una rete di stakeholders impegnati attivamente nell’elaborazione di scenari, strategie e politiche per la gestione delle risorse idriche.

Secondo la loro indagine, circa l’86% degli adolescenti italiani (quasi 9 su 10) manifesta una chiara preoccupazione per gli impatti della crisi climatica.

Come è logico aspettarsi, i dati sono particolarmente rilevanti in regioni italiane recentemente colpite da eventi meteorologici estremi, come l’Emilia-Romagna, dove gli effetti dell'alluvione dello scorso maggio sono ancora vividi, e oltre il 90% degli intervistati esprime timori per il proprio futuro legati al cambiamento climatico.

Curiosamente, nonostante l'alto livello di consapevolezza tra i più giovani, la questione del cambiamento climatico scivola dal 3° al 6° posto nella classifica dei principali problemi dell'Italia.

Questa indagine è parte di un progetto pilota avviato dalla Community Valore Acqua lo scorso anno.

Essa coinvolge 36 partner, tra cui figurano le principali aziende e istituzioni legate alla filiera estesa dell'acqua.

Nello specifico, l'iniziativa mira a sensibilizzare i più giovani sulla gestione delle risorse idriche, al fine di promuoverne un loro consumo più responsabile e ecosostenibile. L’obiettivo ultimo della Community è infatti quello di contribuire alla creazione di una nuova cultura dell'acqua. Inevitabilmente, ciò richiede maggiori finanziamenti da investire sulla formazione delle nuove generazioni.

A tal proposito, è interessante soffermarsi sui risultati che riguardano proprio il rapporto tra giovani e acqua.

Dalla ricerca, ciò che emerge è che il contesto familiare, unito a una paura generalizzata legata alla qualità dell’acqua pubblica e ai potenziali rischi per la salute, rappresentano i principali fattori che inibiscono il consumo di acqua corrente e incentivano all’acquisto di acqua in bottiglia. Infatti, sebbene il 57% della popolazione studentesca di istruzione superiore dichiari di adottare comportamenti sostenibili, quasi 6 su 10 (56%) confessa di non bere mai acqua del rubinetto.

Questa tendenza è decisamente meno pronunciata nel Centro Italia, dove soltanto il 20% degli studenti non ha questa abitudine.

La fotografia che deriva da questi dati è abbastanza preoccupante, e la dice lunga sulla poca consapevolezza che la comunità studentesca in Italia ha della crisi idrica che concerne il nostro paese. Circa il 58% dei partecipanti all’indagine ha ammesso di non avere contezza delle restrizioni nell’utilizzo di acqua rese necessarie dai livelli di siccità estrema che hanno interessato l’Italia nel 2023. Tra chi riconosce di averne fatto esperienza (il 27% degli studenti), il 47% ha avuto percezione del razionamento dell’acqua nelle proprie abitazioni, il 31,6% della chiusura delle fontane nel proprio comune e il 12% del divieto di irrigazione dei giardini.

Davanti a questo quadro, è difficile non accorgersi di essere in presenza di un fatto politico grave: la maggioranza dei giovani, per quanto spaventata dal cambiamento climatico, ha conoscenze molto scarse sulle conseguenze pratiche che esso può generare e, di conseguenza, non è indotta ad adottare comportamenti individuali che ne limitino gli effetti.

Siamo di fronte alla manifestazione plastica di un vero e proprio bias cognitivo, a una chiara discrepanza tra parola e azione. Quasi tutti gli studenti e le studentesse temono la crisi climatica, ma soltanto una minoranza esigua e privilegiata ne riconosce gli effetti e dispone degli strumenti essenziali per passare dalla teoria alla pratica.

Spoiler alert: l’elefante nella stanza è, ancora una volta, la scuola.

Come ha affermato Benedetta Brioschi durante l’ultimo incontro della Community Valore Acqua per l’Italia, è il livello di educazione ambientale del singolo a fare la differenza: «La preparazione scolastica risulta fondamentale: quasi 4 ragazzi su 10 (37,5%) che frequentano corsi scolastici dedicati alla sostenibilità hanno coscienza del problema dei consumi eccessivi di acqua, soprattutto per uso civile e domestico, contro un livello medio del 29,7%».

A proposito di educazione, la lezione che la classe dirigente di questo Paese sembra ancora restia a imparare è che per trasformare la paura in azione, e la rassegnazione in voglia di cambiamento, c’è bisogno di investire nell’istruzione, nella formazione dello sviluppo di una coscienza collettiva ispirata ai valori dell’ambientalismo civile e alla tutela delle risorse naturali.

Per aiutare una generazione sempre più paralizzata dall’ecoansia, da una precarietà affettiva oltreché economica, e da un senso generale di inadeguatezza e frustrazione verso un futuro che appare quantomai incerto e ostile, la conoscenza è l’arma più potente per innescare una rivoluzione silenziosa radicale.

E se è vero che l’educazione ambientale può fornire ai più giovani gli strumenti necessari per diventare cittadini più informati e consapevoli, è la politica ad avere il dovere morale di restituire a studenti e studentesse la speranza in un tessuto sociale più inclusivo, dinamico e attento ai loro bisogni. Un sistema politico-istituzionale che smetta, cioè, di far credere loro di essere inessenziali e impotenti ma che, al contrario, li convinca di essere parte integrante della soluzione, che li renda protagonisti e non più spettatori.

La strada da fare è ancora tanta.

Ma smettere di colpevolizzare le nuove generazioni per la loro ignoranza e disaffezione politica (per poi tacciarle di ideologismo radicale quando a gran voce chiedono risposte), e aiutarle invece ad aiutarsi, e ad aiutare il Pianeta, in un mondo attraversato da una crisi climatica che non hanno neppure causato loro, sarebbe già un primo passo.

Notizia tratta da tiscali.it
© Riproduzione riservata
19/01/2024 11:48:24


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