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L’isola di Sylt e i paesaggi di Nolde

Sylt è un’isola di successo

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Colori stridenti e rutilanti, paesaggi tempestosi, cavalloni incessantemente rivoltati dal vento, luci fredde e radenti. E poi maree, paludi, case dai tetti spioventi in paglia pettinata e spiagge interminabili. Il mare di Sylt - nordica Saint Tropez tedesca mondana ed elitaria - l’espressionista Emil Nolde lo dipingeva così. Sempre con toni saturi e scioccanti. Ma ciò che sorprende nell’isola frisone è che le “patetiche visioni” di Nolde sono più realistiche del previsto.

Lassù, in quella striscia di terra rubata dal Mare del Nord allo Schleswig-Holstein a pochi chilometri dal borgo pittoresco di Husum, gli scenari vigorosi si palesano davvero come l’inquieto pittore del gruppo “Il Ponte” li ha poi ripensati negli anni Dieci del secolo scorso. Performanti stati d’animo forti e sconvolgenti immortalati anche a pochi anni di distanza in “Nosferatu” (1922) e ne “Il Cammino della Notte” (1921) dal geniale regista espressionista F.W. Murnau e recentemente messi in scena da Polanski ne “L’uomo nell’ombra” teoricamente ambientato a Marta Vineyards - le isole si assomigliano - ma in parte girato tra le dune di Sylt calpestate dal Principe delle Tenebre.

Quello che Nolde non poteva immaginare è il successo che dal primo dopoguerra a oggi ha proiettato Sylt ai vertici delle mete turistiche dei suoi connazionali: Rilke e Zweig furono di casa e anche Thomas Mann frequentò i borghi di Kampen e Westerland tre volte, nel 1921 nel 1927 e nel 1928. Ora per i facoltosi tedeschi del centro e nord-ovest, soprattutto di Amburgo - che con Londra concentra il maggior numero di milionari del Vecchio Continente - e di Stoccarda, Colonia e Düsseldorf, Sylt è come Capri o Portofino. Un’esclusiva, ecologica, bio-diversa destinazione da godere in pace e indisturbati. Gli Zar del marco se ne stanno nascosti e protetti nei villaggi di Keitum e Kampen sotto gli immensi tetti spioventi di irraggiungibili ville intonacate di bianco polare o a traliccio in mattoni rosso sangue di bue e celate tra dune di sabbia e muri di siepi lucidi come le Porsche e le Maserati parcheggiate a dovere tra grappoli di case basse giustapposte in una maquette di cartoncino verde kiwi. Intorno solo le perfette coperture di paglia pettinata spuntano a macchia di leopardo come giganteschi covoni.

Sylt è un’isola di successo: una volta riservata ai pochi intimi che beneficiavano delle acque termali di Westerland, ora all’aristocrazia del denaro che, pur non disdegnando i nuovi beauty-center che hanno sostituito i vecchi centri termali, apprezza il riuscito matrimonio tra sprint rigorosamente eco-grüner e lusso esibito a singhiozzo e nonchalance. Il rispetto della natura è evidente nei 200 chilometri di sentieri riservati ai pedoni, ai ciclisti e ai cavalieri (l’equitazione è praticata più del nuoto) tracciati ovunque nel piatto territorio mosso da dune e balzi rocciosi, mentre la ricchezza è poco ostentata e si manifesta soltanto nel microborgo di Kampen gremito di boutiques griffate ma concentrate per lo più in una paio di stradine acciottolate.

A Sylt, cosa ormai rara altrove in Germania, i locali faticano a parlare l’inglese abbandonando il loro dialetto di origine frisone, il cacofonico söl’ring, perché tanto i Vip dell’isola, principini e principesse, attori e registi, scrittori, sportivi e modelle (Stefi Graf e Claudia Schiffer sono di casa), sono rigorosamente, se non solo, tedeschi. Fieri della storia di Sylt che pare sia stato il porto d’imbarco degli Angli, dei Sassoni e dei Frisoni che conquistarono l’Inghilterra nel 449 dopo Cristo. E orgogliosi pure sia delle bandiere arcobaleno che sventolano ovunque per il piacere della comunità lesbo-gay sia del vecchio campo di aviazione militare di List aperto dalla Lutwaffe nel 1861 dove lumeggia il faro più settentrionale della nazione. Che è poi un’esile sentinella bianco-rossa, eretta a poche miglia dalla costa danese, circondata da pascoli di pecore zittite dal vento.

L’atmosfera, tra i bunker scavati in epoca nazi e celati con dovizia, si fa meno teutonico e più danese, più morbido cioé, perché fino al 1864, quando le mire espansionistiche di Cristiano IX vennero freddate dall’esercito prussiano, di fatto l’isola era “agganciata” alla Jutland. Con i suoi cottage, gli alberi inondati di fiori, gli stagni del villaggio e i giardini perfettamente curati, a Sylt c’è una sensazione di distorsione temporale stile favola di Grimm che raggiunge il suo apice appena fuori Kampen al “Kupferkanne”, la sala da tè aperta dopo la seconda guerra mondiale da un ufficiale della marina trasformando un bunker in una specie di pub dagli accoglienti caminetti.

In passato Sylt fu prolifica di validi capitani coraggiosi e cacciatori di balene impegnati nei mari artici. Lo ricordano la chiesa romanica di San Severino dedicata ai marinai e la casa-museo Altfriesisches Haus di Keitum. E’ una settecentesca villetta borghese in mattoni rossi e consueto tetto di paglia, abitata fino al secolo scorso dalla famiglia del capitano di lungo corso C.P.Hansens, che tra mobili dipinti, servizi di porcellana, stampe e incisioni ingiallite denota uno stile di vita più che ragguardevole ai tempi. Allora il mare dava i suoi frutti che non erano soltanto le ostriche bitorzolute coltivate oggi a List per il piacere della nobiltà e dell’alta borghesia tedesca e aperte a profusione nel romantico e affollato “Austern Meyer“. Neanche alla “Maison de l’Ocean” di Brest ogni sera se ne ingoiano tante: noblesse oblige mentre l’odore salmastro dei bivalvi riempie i polmoni.

L’eco-nobiltà del luogo, che comunque non disdegna nudismi, saune, nightclubs (Pony è sempre in voga) e locali stellati con code Gordon Ramsay style, obbliga però alla riservatezza assoluta. In spiaggia tra nuvole di gabbiani e di aquiloni acrobatici i villeggianti se ne stanno accucciati nelle strandkorben di paglia a due o tre posti, le tipiche sdraio dalle orecchie antivento care a Thomas Mann. E si gonfiano lentamente al sole come bolle di sapone senza comunicare. Ogni strandkorb ha il suo numero e… guai a chi sbaglia. Se poi camminando qualcuno alza la sabbia viene subito incenerito da cipigli alla Bismarck, mussoliniani.

Insomma, la flessibilità sta altrove, lontano dalle strandkorben disposte con precisione come pedine di una scacchiera adagiata sulla sabbia a due passi dall’acqua cupa. In compenso, ed è meravigliosa oltre che desueta anche nei mari del nord, la grande spiaggia di ponente è libera e lunga circa 38 chilometri: andarci e camminarci regala un’infinita sensazione di libertà spaziale davvero toccante e irripetibile. Zona free, tranne in quelle strisce apparecchiate per i nudisti che sono a pagamento.

La sabbia è dorata e le alghe sono perfette e prive di impurità. Alle Rotes Kliff , le falesie rosse che incorniciano il litorale tra Kampen e Wenningstedt, la solitudine è assicurata e provoca convulse riflessioni sul “mare degli altri”. Solo qualche temerario windsurfer (il loro ritrovo è invero la Sunset Beach) sfreccia tra i marosi incessantemente rivoltati da un mare di inchiostro. Qui si sente il nord con la sua forza titanica. Qui le tinte avare del cielo e dell’acqua incutono timore. Il richiamo alle marine dipinte da Nolde diviene potente. Qui lo stato d’animo scivola nell’espressionismo, in una visione della natura grandiosa e incisiva ma semplificata.

Notizia e Foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
31/05/2019 09:38:42


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