Opinionisti Claudio Cherubini

I cambiamenti economici a Sansepolcro

La speculazione edilizia è più forte sia del buon senso che delle discipline culturali

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Quando a Sansepolcro qualche lustro fa furono realizzate le nuove costruzioni fuori Porta del Castello e lungo Viale Vittorio Veneto, vennero cancellate le prime due aree industriali: luoghi di lavoro in cui migliaia di operai, in un secolo tra la fine dell'Ottocento e la fine del Novecento, hanno determinato lo sviluppo economico della città.

Infatti fin tanto che l'acqua fu l'unica forza motrice per ogni attività produttiva, i primi opifici sorsero lungo i corsi d'acqua e lungo le reglie dei mulini. La reglia più prossima alle mura di Sansepolcro venne realizzata nel 1198: derivava le acque dalla destra del torrente Afra e arrivava alle mura settentrionali nei pressi di quella che oggi si chiama Porta Libera e, girando intorno alla Fortezza, passava davanti a Porta Romana e quindi andava al Tevere. Da allora fino agli anni Sessanta del secolo scorso le acque di questo canale  mossero fino a 5 mulini per cereali, una gualchiera (impianto che con degli appositi magli comprimeva i tessuti per dare ad essi maggiore consistenza) e forse anche 2 frantoi a Porta Romana. Le acque di questa reglia fin dalla metà dell’Ottocento vennero sfruttate anche dal pastificio Buitoni, che nel 1878 acquistò l'antico mulino di S.Leo alla Caduta. Fu così che la Buitoni iniziò a trasferirsi nella sua sede oggi trasformata senza alcun criterio di archeologia industriale in un centro commerciale. Qui negli anni successivi crebbe in continuazione, trascinando lo sviluppo economico di Sansepolcro e della Valtiberina: nel 1882 al vecchio mulino idraulico fu affiancato un nuovo mulino a cilindri anch'esso mosso, per mezzo di una turbina, dalle acque della reglia, ma coadiuvato anche da un motore a vapore; nel 1893 vennero trasferiti in nuovi locali, adiacenti al mulino, gli impianti di Via Fiorenzuola; tra la fine del 1896 e l'inizio dell'anno successivo al pastificio arrivò l'energia elettrica dalla centrale idroelettrica di Montedoglio, costruita fra le prime in Italia anch'essa dai Buitoni e che permise nel 1906 l'illuminazione anche di Sansepolcro; tra il 1894 e il 1907 la crescita industriale della Buitoni comportò l'edificazione su di una vasta area, fin quasi davanti alla fortezza medicea, di nuove costruzioni fatte a parallelepipedo rettangolare, lunghe e strette, su più piani, con ordinate file di finestre; tra il 1939 e il 1943 furono costruiti altri nuovi reparti e l'area dello stabilimento si estese ulteriormente, inglobando anche un altro mulino della vecchia reglia denominato mulino di S.Leo, i cui resti rimangono ancora oggi visibili lungo Via dei Filosofi. Su quest'area hanno vissuto gran parte della loro esistenza generazioni di borghesi e tanti altri abitanti della Valtiberina: agli inizi del Novecento la Buitoni occupava già più di 100 operai che arrivarono a quasi 400 nel periodo fascista per poi superare le 1000 unità alcuni anni prima della sua cessione a Carlo De Benedetti nel 1985.

Ma negli anni in cui la Buitoni passò da laboratorio artigianale a industria, arrivò in Valtiberina anche il simbolo della rivoluzione industriale: la ferrovia. La Buitoni tentò di far costruire la stazione ferroviaria vicino al proprio stabilimento: o fuori Porta del Castello o "nell'interno della Città nell'orto dell'ex Convento di San Francesco presso la così detta Porta Libera". Ma fu privilegiata la linea avversa che sostenne che, non essendoci a Sansepolcro alcuna industria di una certa rilevanza (siamo nel 1880), si dovesse privilegiare l'agricoltura e ubicare la stazione ferroviaria in un luogo per meglio servire il magazzino dei tabacchi.

Se alla fine dell'Ottocento gli opifici di Sansepolcro erano soprattutto concentrati tra il nuovo stabilimento della Buitoni e Porta Romana (dove oltre 3 mulini e 2 frantoi c'era anche l'officina meccanica della Buitoni), con l'inizio del nuovo secolo le nuove aziende privilegiarono la loro ubicazione vicino alla stazione ferroviaria. Così agli inizi del Novecento nei pressi della stazione troviamo la "segheria meccanica a vapore" di Attilio Guastalla di Parma che dal 1926 diventerà Società Industrie Legnami Affini "S.I.L.A.". Quando il Commissariato Generale per i Combustibili Nazionali, che operò a Sansepolcro dal 1917 al 1921, si insediò scelse di collocare i propri magazzini lungo le mura cittadine del viale della stazione. Di fronte, ma d'altra parte della strada, nel 1920 sorse lo "stabilimento per la lavorazione del cemento" di Luigi Bertuzzi, che è stato distrutto proprio per costruire la palazzina che si diceva all'inizio (in cui i tre archi dovrebbero ricordare la costruzioe liberty della fabbrica Bertuzzi). Nel 1924 sempre nei pressi della stazione ferroviaria aprì l'opificio per la "lavorazione di legnami con segheria" di Vittorio Belfiore. Nello stesso anno furono sistemati i locali e quindi iniziati i primi esperimenti di "lavorazione della conserva di pomodoro" da parte della Società Anonima Immobiliare "Resurgo". Non distante, in Via del Prucino, nel 1925 c'era anche la Segheria Elettrica Biturgense A.M. Cecchini e C. Sul finire del 1925 all'angolo tra il viale della stazione e via del Prucino, si stava costruendo lo stabilimento della Società "Fornaci Industria Argilla Manifattura Mattonelle Artistiche" (F.I.A.M.M.A.). In questo periodo, lungo il viale della stazione a monte del cementificio Bertuzzi, era operante anche la Società Anonima U.V.A. per la "distillazione delle vinacce dell'uva". In questi opifici nel 1927 lavoravano complessivamente oltre 200 operai.

Oggi delle prime due aree industriali di Sansepolcro non rimane alcuna traccia: la speculazione edilizia è più forte sia del buon senso che delle discipline culturali, urbanistica ed archeologia industriale, che insieme dovrebbero guidare gli amministratori pubblici e i tecnici-professionisti. A Sansepolcro il gusto per il bello si è perso nell'interesse economico e l'archeologia industriale con le sue scelte di conservazione e riuso funzionale non è mai arrivata, in molti casi anche per scarsa lungimiranza politica. Proviamo ancora e ricordarlo a chi governa che "La storia siamo noi. Nessuno si senta offeso" (Francesco De Gregori).

Ora l'ultima occasione per valorizzare la storia di tanti operai sarà il magazzino dei tabacchi, ma le voci che si sentono non promettono niente di buono. Tuttavia sarebbe un'occasione per farne un monumento del lavoro di Sansepolcro.

Redazione
© Riproduzione riservata
13/03/2019 15:11:13

Claudio Cherubini

Imprenditore e storico locale dell’economia del XIX e XX secolo - Fin dal 1978 collabora con vari periodici locali. Ha tenuto diverse conferenze su temi di storia locale e lezioni all’Università dell’Età Libera di Sansepolcro. Ha pubblicato due libri: nel 2003 “Terra d’imprenditori. Appunti di storia economica della Valtiberina toscana preindustriale” e nel 2016 “Una storia in disparte. Il lavoro delle donne e la prima industrializzazione a Sansepolcro e in Valtiberina toscana (1861-1940)”. Nel 2017 ha curato la mostra e il catalogo “190 anni di Buitoni. 1827-2017” e ha organizzato un ciclo di conferenza con i più autorevoli studiosi universitari della Buitoni di cui ha curato gli atti che sono usciti nel 2021 con il titolo “Il pastificio Buitoni. Sviluppo e declino di un’industria italiana (1827-2017)”. Ha pubblicato oltre cinquanta saggi storici in opere collettive come “Arezzo e la Toscana nel Regno d’Italia (1861-1946)” nel 2011, “La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro. Età Moderna e Contemporanea” nel 2012, “Ritratti di donne aretine” nel 2015, “190 anni di Buitoni. 1827-2017” nel 2017, “Appunti per la storia della Valcerfone. Vol. II” nel 2017 e in riviste scientifiche come «Pagine Altotiberine», quadrimestrale dell'Associazione storica dell'Alta Valle del Tevere, su «Notizie di Storia», periodico della Società Storica Aretina, su «Annali aretini», rivista della Fraternita del Laici di Arezzo, su «Rassegna Storica Toscana», organo della Società toscana per la storia del Risorgimento, su «Proposte e Ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale», rivista delle Università Politecnica delle Marche (Ancona), Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi “G. d’Annunzio” (Chieti-Pescara), Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi della Repubblica di San Marino.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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